San Vittorino Romano, Santuario di Nostra Signora di Fatima, Martedì 13 maggio 2025
Carissimi fratelli e sorelle, siamo riuniti in preghiera per invocare su di noi, sulla Chiesa e sul mondo intero lo Spirito Santo e, con tutta la Chiesa italiana, il prezioso dono della pace per la nostra umanità divisa, disgregata, coinvolta in una guerra mondiale a pezzi che miete sempre più vittime, distrugge popoli e famiglie, penalizza i più piccoli. I più fragili, i bambini, gli anziani, i soli.
Come coloro che volevano costruire la torre a Babele per farsi un nome e giungere fino a Dio, anche oggi l’uomo non cessa di lasciarsi tentare nel volersi sostituire al Creatore e Padre di tutti e così, pur reclamando quei propri diritti che a lui paiono legittimi, si erge con superbia sui diritti degli altri, sale sulla nuova Torre di Babele, distanziandosi dai fratelli, dimenticandosi di essere creatura di Dio fino a non comprendersi più con i suoi simili. Una Torre – quella della nostra Babele di oggi – che necessita, come nella prima Babele, del dono dello Spirito per riunificare i popoli divisi tra loro affinché vivano in unità, nella pace e nella capacità di essere segni di speranza per il mondo.
Papa Leone XIV, da pochi giorni alla guida della nostra Chiesa Cattolica, ci sta portando a scoprire, ogni volta che ci parla, la grande ricchezza di insegnamento che hanno i Padri ed in particolare il suo Sant’Agostino. Un cercatore di Dio che a cinquant’anni scrisse quella famosa preghiera: Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai! Un rimpianto della sua vita che si riferiva anche alla differita scoperta di Dio come amore e di un amore così vicino da essergli più presente di quanto egli non riuscisse ad esserlo a se stesso. Fu come una folgorazione per Sant’Agostino comprendere leggendo il Vangelo di Giovanni e San Paolo che Dio-Amore abita in noi attraverso lo Spirito Santo che ci è stato dato.
A commento del dono della sua conversione Agostino dirà rivolgendosi a Dio: Ci avevi bersagliato il cuore con le frecce del tuo amore; e proseguirà: Mi hai folgorato il cuore con la tua parola, e ti amai. La folgorazione della Parola era proprio la rivelazione che al bisogno incredibile del suo cuore (“di amare e di essere amato”), corrispondeva il massimo, cioè un Dio che è soprattutto amore, e ci ha così riempiti di questo amore da farci amare con la sua stessa misura.
Anche il Vangelo che abbiamo ascoltato ci conferma che il dono che è lo Spirito Santo è l’Amore di Dio, l’amore che c’è tra il Padre e il Figlio e che viene comunicato dal Risorto come pace. Apparendo ai suoi Risorto e vivo, nel primo giorno della settimana, dopo i giorni del tradimento, dell’abbandono da parte di chi gli era più vicino, della morte di croce sul Calvario, Gesù avrebbe avuto ben ragione di rimproverarli e invece augura la pace, pace a voi! e con la pace soffia su di loro proprio come il creatore soffiò un alito di vita sull’uomo fatto di terra e lo rese un vivente. Soffiò lo Spirito Santo per il perdono dei peccati e per riportare tutti nell’abbraccio grande dell’Amore di Dio, quell’Amore di Dio in noi che ci chiede allora unità tra noi, comunione, per testimoniare pace e speranza in questo nostro tempo inquieto.
Cari amici, ecco la prima scoperta che vorrei che facessimo stasera: la pace e la comunione che imploriamo per noi, per le nostre famiglie, per la Chiesa e per l’intera umanità può avere origine soltanto dalla nostra continua apertura al dono dello Spirito Santo. Lo Spirito che ci è stato donato per far comprendere ai nostri cuori che Dio amore tramite Lui, tramite lo Spirito che Gesù ci ha lasciato, abita nei nostri cuori. E così, sempre Agostino, nel trattato sulla Trinità scrive: Ecco perché lo Spirito Santo, Dio che procede da Dio, una volta dato all’uomo l’accende d’amore per Dio e per il suo prossimo, essendo lui stesso amore.
Chiediamo questa sera di saper riconoscere attraverso la fede tale presenza del dono di Dio nel nostro cuore, ognuno nel suo, cioè là dove ognuno di noi è veramente se stesso e vive e dove può attingere come da una fonte perenne l’amore vero e forte, lo stesso amore potente di Dio, per amare lo stesso Dio e il prossimo come lo ama Dio. Gesù stesso ha paragonato la presenza dello Spirito a “fiumi di acqua viva” che sgorgano dal seno di chi crede e beve (cfr Gv 7,37-39); lo ha fatto solennemente ad alta voce, per sottolineare la preziosità del Dono e la novità del fenomeno. Nel cuore, dentro di noi, si prolunga e si svolge la stessa incarnazione di Cristo: il suo Spirito rende presente il suo amore, che è anche l’amore della Trinità, per rinnovare e potenziare il nostro amore. Su questa grande novità ci dobbiamo fermare e formare. Ci dobbiamo fermare, perché questo è il vero tempio, dove abita il Signore e si costruisce la storia di ciascuno e di tutti. Ma ci dobbiamo anche formare attraverso un’attenzione più costante, una contemplazione più familiare della presenza interiore dello Spirito.
Cari amici, dobbiamo imparare a credere di più nell’amore di Dio che abita in noi; invocarlo con umiltà perché si faccia conoscere e ascoltare, proprio come amore e amore di Dio. Il segreto e lo scopo della vita interiore è di giungere a convivere con questa presenza, al punto da considerarla l’amore prevalente, l’amore fedele, quello che ti dà equilibrio e sicurezza, perché non cambia mai ed è lì proprio per rigenerarti continuamente.
Aperti a questo dono possiamo essere dunque nel mondo protagonisti di unità e di comunione. Sempre Papa Leone con il suo motto papale tratto da un Sermone di Sant’Agostino: “In Illo, uno unum”, “in Colui che è uno, siamo uno”, ci invita a rimanere sotto il dominio dello Spirito frutto dell’amore, dell’unità tra il Padre e il Figlio che sono uno affinché anche noi siamo uno. Uno nella Chiesa – da quella parrocchiale, a quella diocesana, a quella universale –, uno nelle famiglie, nelle città e nei paesi: uno! Una unità di amore tra fratelli e sorelle che si scambiano l’amore che c’è in loro grazie al dono dello Spirito Santo e che vivendo in comunione diventano testimoni di speranza nel mondo.
Che cosa è la speranza? È la nostra tensione verso il bene assoluto, una tensione che c’è nel cuore di ogni uomo sia che ne sia consapevole che no. È la tensione verso una felicità piena. La speranza cristiana è radicata nella realtà delle cose che non soddisfano mai appieno ed è protesa verso ciò che non si vede; è un orientamento stabile, come fiducia che il senso esiste anche se non lo vediamo ancora. È una bussola dell’anima nei giorni oscuri, un cammino condiviso dentro la storia. Una speranza che non consola soltanto ma che trasforma. Una speranza che non durerà per l’eternità perché sperare è proprio dell’attesa. Quando giungeremo a ciò che oggi è solo promesso, la speranza non avrà più senso: sarà stata pienamente realizzata.
Vedete, la speranza degli uomini è quella di crescere, sposarsi, avere figli, prosperare. Ma anche quando questa speranza si realizza non sazia. È una speranza inquieta, che si rinnova continuamente e che rivela il carattere dinamico dell’esistenza umana.
Certamente l’uomo è orientato verso il bene, anche quando lo cerca in modo sbagliato: ogni desiderio, ogni attesa, ogni progetto non è altro che una forma spesso confusa, di questa tensione fondamentale. È una constatazione che ci tocca da vicino, direi, oggi che viviamo in una società che moltiplica desideri, ma non soddisfazioni.
Ebbene noi cristiani siamo chiamati a cercare una speranza diversa: non fondata sull’effimero, ma su Dio. È sempre Sant’Agostino che ricorda: “La speranza grida sempre a Dio”, a Dio che – continua il Santo di Ippona – “Egli è ora la tua speranza, (e che) sarà poi il tuo bene”. La speranza è dunque attesa di un destino buono, che non si logora con il tempo e che orienta il nostro cammino insieme alla fede che lo illumina e l’amore che lo sostiene.
Cari amici, in un mondo che ha smarrito la fiducia nel futuro, lo sguardo di speranza, lo sguardo verso l’eterno che attraverso il dono dello Spirito vive in noi e ci attende al termine del cammino, è quanto mai necessario.
Sempre Agostino per spiegare cosa sia la speranza usa l’immagine dell’uovo: “La speranza infatti – scrive in uno dei suoi Discorsi –, non è ancora giunta alla realtà, come anche l’uovo è qualcosa ma non è ancora il pulcino” come l’uovo contiene il pulcino in potenza, ma non ancora in atto, così la speranza custodisce il compimento senza anticiparlo. Tuttavia noi guardando all’uovo sappiamo che contiene il pulcino e che per rimanere nell’attesa del compimento dobbiamo salvare l’uovo dallo scorpione che potrebbe rompere e mangiare l’uovo prima del tempo. E così oggi la nostra speranza è insidiata da tanti scorpioni che feriscono da dietro, ossia ci invitano a guardare indietro, a vivere nell’abitudine, nel cinismo, nelle false sicurezze. Avere speranza è avere fiducia nel futuro, proteggerla vuol dire purificare il cuore, attendere l’incontro perfetto con Colui che ci attende dilatando l’anima perché dopo aver ricevuto l’alleluia della speranza sappiamo che ci sarà il tempo in cui canteremo l’alleluia della realtà e così, con la forza dello Spirito, camminiamo verso la meta eterna con speranza. E dove c’è speranza c’è apertura all’altro, c’è riconoscimento del comune destino e fiducia che l’umanità, pur ferita, non è condannata alla dispersione. La speranza, per Agostino, non si può confinare: attraversa le frontiere, unisce i popoli, genera alleanze. È forza dello Spirito che può fare dell’umanità una comunità. Come ha ricordato Papa Leone fin dall’inizio del suo Pontificato: “l’aspirazione della Chiesa – e mia personale – (è) di raggiungere e abbracciare ogni popolo o ogni singola persona di questa terra”. In un mondo lacerato da guerre e disuguaglianze, questo messaggio è quanto mai urgente: una storia diversa è possibile, anche oggi, anche qui. La speranza cristiana non illude ma ci chiama a una speranza forte, adulta: quella che non si spegne quando le cose vanno male, che non si sottomette all’oggi, che non si piega al disincanto. Ma è una speranza che ha già un’ancora nel porto mentre navighiamo ancora nel tempo. Noi tendiamo verso la luce ma per la forza dello Spirito questa luce, che è l’amore eterno e perfetto di Dio, già ci precede e ci accompagna. A noi riconoscere la nostra fragilità, aprirci e lasciarci sostenere dalla fedeltà di Dio e camminare, camminare insieme verso una gioia che non delude.
Ed infine: in questo cammino, per testimoniare la speranza e realizzare comunione e pace, che tutti possiamo rendere credibile la Chiesa con la nostra credibilità personale e comunitaria.
Sempre Papa Leone lo ricordava sabato scorso mentre ordinava alcuni giovani preti romani. Egli li esortava alla trasparenza della vita. Citando San Paolo che salutando la comunità di Efeso diceva: “Voi sapete come mi sono comportato” chiedeva a loro che le loro vite siano conosciute, siano vite leggibili, vite credibili! Affinché si ricostruisca la credibilità di una Chiesa ferita, inviata a un’umanità ferita, dentro una creazione ferita. “Non siamo ancora perfetti – aggiungeva – ma è necessario essere credibili” e possiamo esserlo perché “Gesù risorto ci mostra le sue ferite e, nonostante siano segno del rifiuto da parte dell’umanità, ci perdona e ci invia. Non dimentichiamolo! – aggiungeva – Egli soffia anche oggi su di noi (cfr Gv 20,22) e ci rende ministri di speranza”. Cari amici, se questo vale sicuramente per i presbiteri, vale anche per tutti. Lasciamo dunque che il Risorto soffi il suo spirito su di noi, ci renda portatori di speranza! Posseduti dall’amore di Cristo, un possesso che ci libera e che ci abilita a non possedere nessuno; fortemente appartenenti a Dio, partecipiamo a tutti il Suo Amore. Amati, amiamo e ripartiamo stasera da questa Veglia di preghiera con il desiderio che si fa proposito di portare nel mondo l’amore di Dio, in una comunità-Chiesa comunione, che cammina nella speranza e invita tutti alla pace e alla riconciliazione con Dio e tra gli uomini. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina