San Vittorino Romano, Santuario di Nostra Signora di Fatima, Sabato 8 giugno 2019
Carissimi fratelli e sorelle,
con la celebrazione di stasera entriamo insieme nella grande solennità della Pentecoste.
Al compimento della cinquantina pasquale desideriamo come Chiesa che cammina nella storia, come comunità diocesana che in questo anno pastorale si è data come compito quello di esercitarsi all’ascolto di Dio, e – alla Sua luce – di noi stessi e dei fratelli in umanità, rispondere all’invito rivoltoci da Gesù nel Vangelo appena proclamato: “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me”. Non c’è autentico cristiano, non c’è vera Chiesa, infatti, se non lasciamo dissetare le nostre tante seti di verità, di giustizia, di significato da dare alla vita, se non ci apriamo al dono dello Spirito Santo che viene a noi da Gesù glorificato, da Gesù che ha attraversato la sua passione per amore, che viene a noi tramite i sacramenti, che viene a noi tramite le Sue parole che siamo continuamente chiamati ad ascoltare e che, grazie allo Spirito Santo, possiamo decifrare, comprendere ed aderire ad esse per vivere già ora nella gioia anche se attraversiamo qualche sofferenza e prova mentre camminiamo verso la gloria eterna.
In questo anno pastorale ho suggerito a tutta la nostra Chiesa di leggere il libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo, un libro rivolto a una comunità di ascolto riunita per il momento liturgico, una comunità come la nostra di stasera, una comunità alla quale l’autore di Apocalisse più volte rivolge l’invito ad ascoltare ciò che lo Spirito dice alla Chiesa.
Anche stasera ne abbiamo letto un brano. Un brano che si è concluso con un dialogo che riassume un po’ tutto il cammino della Chiesa e del cristiano in essa: “Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”. E chi ascolta – cioè noi – ripeta “Vieni!”. E alla supplica c’è la risposta del Risorto: “Si vengo presto!”. E la comunità, cioè noi, che approva e continua a supplicare in attesa della perfetta unione in Dio: “Amen. Vieni Signore Gesù!”.
È il dialogo fecondo che deve sempre animare, riempire la Chiesa e la vita di ogni cristiano in essa.
Tante volte ho l’impressione che nelle nostre comunità facciamo tante cose. Tutte belle e buone, per carità … ma mi domando: sono veramente necessarie? Se alla base di tutto non c’è la chiarezza di dove stiamo andando e con Chi stiamo camminando, non rischiamo forse di perderci in tante attività fini a se stesse trasformando le nostre parrocchie in pro-loco, comitati per festeggiamenti che hanno poco di diverso da feste folcloristiche, da cortei storici senza anima. Non rischiamo forse di fare tante cose perché si è sempre fatto così, ripetere schemi inadatti al nostro tempo e all’uomo che abbiamo di fronte? E quale conseguenza, non stiamo pagando forse, per caso, come un senso di frustrazione diffuso poiché facciamo e facciamo e poi non vediamo che pochissimi risultati di vita cristiana? Pensiamo, ad esempio, solo alla catechesi che continuiamo a fare ai piccoli o alla preparazione al sacramento del matrimonio. Tanta fatica, tante energie … e poi pochissimi risultati … Non è che forse occorre che reimpariamo a essere una Chiesa incentrata sul mistero della Pasqua e in cammino verso la Gerusalemme del Cielo, anzi nella quale Dio è già il Dio con noi e ci accompagna con il suo Spirito nella storia che si può illuminare grazie alla nostra testimonianza?
Per trasmettervi meglio ciò che vi voglio dire mi faccio aiutare dall’ultima lettura ascoltata prima del Vangelo e tratta proprio da Apocalisse.
Al gruppo di ascolto, a noi, viene posta come una domanda: dove stiamo andando? Cosa ci attende? Quale è il termine che spiega tanta fatica e tanta pena nell’oggi?
La risposta è chiara ed evidente, non dà spazio alla immaginazione e alla fantasia, Giovanni, l’autore dell’Apocalisse dice: “Vidi un cielo nuovo e una terra nuova” è un vedere della fede che dobbiamo riprendere e riproporre con energia se non vogliamo che tutto nelle nostre comunità sappia di scoraggiamento e logoramento interiore. Dobbiamo essere capaci di vedere e di far vedere ciò che Dio continuamente ci mostra affinché il nostro passo non ceda alla stanchezza: “Vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più”.
Il primo cielo e la prima terra sono il cielo e la terra che sperimentiamo adesso, toccato dal male anche se all’inizio della creazione non era stato pensato così. Un cielo e una terra entro i quali poli si è sviluppata per iniziativa di Dio la storia della salvezza che ora si avvia verso la conclusione, ossia verso un mondo in cui è assente il male, “il mare” con tutti i significati biblici di luogo dei mostri marini, del buio, della morte e del caos, inteso come abisso sede del demoniaco, e che non c’è più ma lascia il posto a tutto il bene immaginabile e potenziato all’infinito. Ebbene questo cielo e questa terra di prima non ci sono più perché grazie alla Pasqua di passione, morte e risurrezione di Cristo tutta la storia è pasqualizzata, e anche il nostro rapporto con Dio che abbiamo vissuto nella storia sempre in tensione tra cielo e terra non ci sarà più, il nostro rapporto con Dio sarà perfetto e nuovo ossia di diversa qualità. La nostra storia che si è fino ad ora dipanata tra il cielo e le terra con i suoi limiti e contrasti entrerà in una dimensione nuova collegata alla Risurrezione di Cristo che riempirà della Sua gloria, del suo Spirito, dell’Amore tra Lui e il Padre, tutte le cose.
Cari amici le cose che ora ci sembrano il tutto, la storia attuale nella quale siamo immersi fino al collo sia quando ci esalta sia quando ci tormenta e schiaccia, passeranno! E Dio ritesse un rapporto nuovo, perenne, eterno, senza necessità continua di essere ripreso, ricominciato, con noi.
Ci sarà una Gerusalemme nuova ossia anche la città, cioè il nostro luogo di convivenza, sarà contagiato da Dio, sarà appropriato da Dio, sarà talmente intima a Dio da essere il luogo della espansione, della effusione, della dilatazione di Dio che si manifesterà a tutti quale dilatazione del Suo amore, dilatazione e manifestazione di quel Suo amore che è la sua essenza profonda.
Cari amici questa città – ci dice ancora Apocalisse – scende dal Cielo ossia questa presenza diffusa fino all’angolo più nascosto e buio della città terrena viene a noi, viene a noi con il dono dello Spirito la potenza della Risurrezione di Cristo e viene continuamente affinché trasfigurati dalla Risurrezione del Signore viviamo già ora da uomini e donne pasquali in attesa della comunione perfetta con Colui che illumina la città santa dove Lui è già il tutto.
Se Dio immette continuamente dentro la storia grazie allo Spirito Santo il suo Amore allora noi siamo chiamati a vivere di questo amore che si traduce in vita nuova, in vita fraterna, in vita così bella che attrae tanti altri a Lui! Cari amici noi siamo il luogo di arrivo di questa azione di Dio che personalmente e continuamente immette la Gerusalemme del Cielo dentro la storia perché noi diventiamo sempre più quella Gerusalemme fino a quando saremo un tutt’uno con essa.
La Gerusalemme del Cielo viene a noi come una fidanzata pronta per il suo sposo. Così sarebbe la traduzione esatta del testo. Sì, la Gerusalemme del cielo si riversa in noi per perfezionarci. Lei è già sede dello Sposo celeste e si riversa come una cascata che mai finisce su di noi affinché come una fidanzata che deve terminare di ricamare e preparare il suo abito da sposa anche noi non ci stanchiamo mai di operare guidati dallo Spirito per prepararci all’incontro definitivo con Lui.
Sì, cari amici, la sposa che scende dal Cielo siamo noi che per il battesimo abbiamo già ricevuto in questa storia che viviamo, lo Spirito Santo ma che dobbiamo lasciarlo lavorare in noi, ascoltare ed obbedirgli per giungere alle nozze eterne e definitive con Lui.
Siamo chiamati dalla voce di Dio a divenire “tenda di Dio con gli uomini”. È la vocazione della Chiesa! Una tenda che come sappiamo dall’Antico Testamento è luogo di convegno e anche della presenza di Dio in mezzo al suo popolo, manifestazione della sua gloria. Ebbene noi Chiesa siamo chiamati, grazie allo Spirito Santo che stasera chiediamo si ravvivi in noi, grazie allo Spirito Santo già ricevuto nel sacramenti dell’Iniziazione cristiana e che se ci apriamo ad esso continuamente viene in noi, a divenire il luogo dell’incontro tra noi e con Dio, con Dio e tra noi in un colloquio continuo che accompagnerà tutto il nostro cammino.
Cieli e terra nuovi, Gerusalemme del Cielo che scende verso di noi, tenda dove il rapporto con Dio pare divenire quasi paritetico … e tutto grazie al dono dello Spirito del Risorto che è l’artefice di tutto ciò, hanno conseguenze che per noi uomini saranno meravigliose e che dobbiamo sempre ricordare e riproporre: “E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi, non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno … perché le cose di prima sono passate!”.
A noi, cari fratelli, saper guardare e saper far guardare questa novità. “Ecco, – continua la voce di Dio in Apocalisse – io faccio nuove tutte le cose” come a dirci: svegliatevi! Non vedete che con me è giunta la primavera e voi continuate a vestirvi come se fosse pieno inverno, a stare rintanati in casa come se fuori nevicasse?
E infine c’è una promessa che noi celebrando la Pentecoste, dopo duemila anni di storia della Chiesa, vediamo mantenuta: “A colui che ha sete darò continuamente da bere alla fonte dell’acqua della vita”. Il Risorto ci darà quell’acqua promessa nel Vangelo, lo Spirito Santo, il suo Spirito. Un’acqua viva che zampilla sempre e che si contrappone all’acqua stagnante, dove fuoco e zolfo soffocano l’uomo che se avessimo letto per intero il brano di Apocalisse avremmo visto essere riservati per coloro che ostinatamente preferiscono non stare nella verità davanti a Dio e ai fratelli, preferiscono essere vili, increduli, abbietti, omicidi, immorali, seguire i fattucchieri, idolatri e mentitori … Per chi si ostinerà a dire no allo Spirito ci sarà la seconda morte ossia dopo la prima morte, quella biologica che attende tutti, non ci sarà possibilità di salvezza ma se noi cammineremo nella fedeltà, pur faticando e penando ma guardando a quello squarcio di Cielo da cui scende la Gerusalemme celeste, ci lasceremo abbracciare da Dio che ci dona il suo Spirito per renderci suoi figli e amici, allora avremo forza, coraggio, speranza per non fermarci nel cammino verso l’Eterno!
Cari fratelli e sorelle, al termine di questa mia riflessione, vorrei domandare a voi e a me: ma noi, come Chiesa siamo così? Forse non sempre. Ma desideriamo essere così: pieni di quella gioia che viene dall’amicizia con Dio, quell’amicizia che Lui vuole proporre a tutti? Penso che almeno nel desiderio ci sia questa intenzione. E allora, insieme, imploriamo ancora una volta: “Vieni!”. Con l’aiuto dello Spirito gridiamo quale Chiesa sposa di Cristo: “Vieni!”. Lui ora ci risponde: “Si vengo presto!”. A noi, dunque, ancora una volta ripetere sì: “Amen. Vieni Signore Gesù!”.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina