Omelia alla Veglia Ecumenica di Preghiera 2024

Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Venerdì 19 gennaio 2024

“Amerai il Signore tuo Dio … e il tuo prossimo come te stesso” (Lc 10,27).

È la risposta che Gesù dà ad un dottore della Legge che, per metterlo alla prova, gli pose la domanda: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”

Una risposta che il dottore della Legge già conosceva, poiché davanti alla domanda con la quale Gesù gli risponde “Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?” egli non fatica a rispondere: “Amerai il Signore tuo Dio … e il tuo prossimo come te stesso” (Lc 10,27).

Ma un conto è sapere la risposta e altra cosa è viverla!

Caro fratello Vescovo Atanasie di Bogdania, cari fratelli e sorelle in Cristo, ai quali porgo fraternamente il benvenuto in questa Cattedrale, tutti sappiamo l’invito di Gesù, tutti conosciamo come Lui stesso fuse in uno i due comandamenti dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo mettendoli al primo posto tra una serie di 613 precetti più o meno importanti che componevano la Legge mosaica. Ma un conto è sapere la parola di Gesù e altra cosa è viverla! Altra cosa è vivere l’etica della responsabilità che il Vangelo di Luca da cui è tratta la parabola del buon samaritano ci vuole condurre a vivere presentandoci la fede sempre più come assunzione dell’altro: nella sua diversità e nella sua libertà, nella sua assolutezza e nel suo peccato. Sì, il Dio della Bibbia, è il Dio della responsabilità, è il Dio che si prende a cuore la sorte dell’uomo.

Stasera noi preghiamo perché questo amore a Dio e al prossimo, un amore responsabile che si prende a cuore l’altro, si realizzi. Stasera noi con umiltà ci prendiamo insieme per mano, alziamo insieme le braccia e le mani a Dio per chiedere questo dono: la capacità di amare. Gli chiediamo il dono dell’amore a Lui e tra noi, a Lui – come risposta del Suo amore a noi –, tra noi e con tutti i fratelli e le sorelle sparsi sulla terra, affinché in un mondo lacerato da lotte, guerre e discordie si concretizzi l’unità per la quale Gesù stesso ha pregato nella notte in cui veniva tradito.

Sì, preghiamo perché si realizzi, si concretizzi in segni, gesti, atteggiamenti, attenzioni … l’amore e la fraternità tra le nostre Chiese, si realizzi soprattutto tra quanti si dicono cristiani e pur credendo nello stesso Signore trovano giustificazioni per farsi guerra in un mondo dove i conflitti bellici sono sempre più ampi, la terza guerra mondiale a pezzi – come la definisce Papa Francesco – sta sempre più rischiando di divenire globale in una ricomposizione dei pezzi che se non fermeremo ci lacererà. Si realizzi la fraternità, la sororità e l’unità amando Dio e tutte le creature ed il creato che vengono da Lui. Si realizzi nei nostri cuori affinché la fratellanza universale e tra noi, che ci diciamo cristiani, non sia più solo un motivo di preghiera ma diventi realtà grazie a un impegno concreto, personale e comunitario, accettando di farci prossimi gli uni verso gli altri e insieme verso il mondo.

L’unità dei cristiani, cari fratelli, può divenire realtà grazie alla nostra testimonianza, se cioè ci impegniamo a vivere l’amore a Dio e ai fratelli sapendo bene chi dobbiamo considerare prossimo.

Ai tempi di Gesù era oggetto di discussione tra le varie scuole rabbiniche chi fosse da considerare prossimo: per alcuni erano i compatrioti, i proseliti, gli osservanti della Torah …

E Gesù chiarisce il problema con il brano del Buon Samaritano.

Era un problema serio sapere chi è il mio prossimo? Ossia rispondere alla domanda del dottore della Legge. Perché nella situazione che ci presenta il brano evangelico ascoltato, se da una parte c’era la Legge che impediva a sacerdoti e leviti che si recavano al Tempio di contaminarsi entrando in contatto con lo straniero, dall’altra parte c’era un uomo mezzo morto lasciato sulla strada. Ovviamente molte scuole rabbiniche non proibivano assolutamente l’intervento quando si trattava di salvare una vita umana, ma in ogni caso l’evangelista Luca vuole stabilire nella parabola ascoltata un forte contrasto tra le due figure istituzionali e lo straniero samaritano, perché descrive l’atteggiamento dei primi due con un verbo greco assai significativo, che significa “passare dalla parte opposta”, il più lontano possibile.

Il samaritano, invece, si comporta molto diversamente: “Arrivò vicino a lui – al mezzo morto lasciato sulla strada –, ne ebbe compassione, fasciò le ferite versandovi sopra olio e vino, e fattolo salire sulla propria cavalcatura, lo condusse in un albergo …”. Un atteggiamento, dunque, riassumibile con un termine: “compassione”. Sì, il samaritano ebbe compassione dell’uomo mezzo morto lasciato sulla strada che andava da Gerusalemme a Gerico. La stessa compassione, lo stesso sentimento che ebbe Gesù a Nain davanti alla vedova che portava il figlio morto alla sepoltura; che ebbe il padre della parabola del padre misericordioso – più conosciuta come del figliol prodigo –.

I grandi Padri della Chiesa – Origene, Agostino e Ambrogio – hanno visto a ragione nel buon samaritano il Cristo che si china verso il ferito.

Scrive Origene commentando la parabola del buon samaritano: “L’uomo che scendeva è Adamo, Gerusalemme è il paradiso, Gerico il mondo; i ladroni sono le potestà nemiche, il sacerdote è la legge, il levita i profeti, il samaritano è Cristo; le ferite sono la disobbedienza, il giumento il corpo di Cristo, la locanda che accoglie tutti coloro che vogliono entrare è la Chiesa, i due denari sono il Padre e il Figlio, l’albergatore è il pastore della Chiesa cui è affidata la cura; il fatto che il samaritano promette di tornare, indica la seconda venuta del Salvatore” (Origene, Hom. In Lc. 34).

E concentrandoci di più sul samaritano, scrive Clemente Alessandrino: “Chi potrebbe essere questo prossimo, se non il Salvatore stesso? Chi più di lui ha avuto pietà di noi che stavamo per essere uccisi dai dominatori di questo mondo di tenebre con le tante ferite, le paure, le passioni, le ire, i dolori, gli inganni, i piaceri? Di tutte queste ferite unico medico è Gesù. È lui che versa sulle nostre anime ferite il vino che è il sangue della vite di David; è lui che dona copiosamente l’olio che è la pietà del Padre” (Clemente Al. Quis dives, 29).

La domanda conclusiva di Gesù allo scriba (“chi di questi tre è stato prossimo per colui che si era imbattuto nei briganti?”) capovolge totalmente il problema: non è assolutamente necessario sapere chi è il mio prossimo? La domanda decisiva è un’altra: di chi io voglio essere prossimo? Gesù rompe, dunque, la concezione della categoria “prossimo” così come era concepita dalla casistica vigente ai suoi tempi. Lui si è comportato da prossimo, sì, Lui, proprio colui che, in forza della legge, era “non prossimo” perché Dio. Ma il Dio di Gesù Cristo, cari fratelli, è un Dio che si fa prossimo a noi, che si incarna, che si svuota di sé per servirci, per amarci, per ridarci la dignità perduta a causa del peccato e la vita che non finisce.

All’amore di Dio manifestatosi in Cristo noi dobbiamo continuamente guardare e lasciandoci impregnare dallo Spirito Santo, ossia dall’amore che c’è tra il Padre e il Figlio, dobbiamo imparare ad amare il prossimo come Gesù lo ha amato facendosi prossimo all’uomo piagato nel corpo e nello spirito.

Vedete: c’è un amore che crea il prossimo a propria immagine: è l’amore che desidera l’altro, lo brama, lo vuole possedere, ma non lo serve. Anche lì dove sembra servire, questo amore desidera qualcosa per sé. Per questo non può amare il nemico o chi gli si oppone. Tutto si basa su vincoli umani, suggestioni e asservimento. Se l’amore con il quale pretendiamo di costruire l’unità tra le Chiese e l’unità nel nostro mondo segnato da guerre e catastrofi prodotte dall’uomo sarà di questo genere non arriveremo mai alla meta, anzi cresceranno i conflitti e le divisioni! Ma se vivremo un amore sull’esempio di Colui che si è fatto prossimo a noi – Cristo –, un amore che non si nasconde dietro a leggi o convenienze, ma offre e basta: offre quello che ha e che è, allora l’unità non sarà solo un sogno, un ideale, un’utopia ma diverrà realtà.

Cari fratelli e sorelle, al termine di questa mia riflessione vorrei concludere con due domande che pongo a me e a tutti voi: siamo in grado di assumerci responsabilità verso gli altri, chiunque essi siano, senza nasconderci dietro leggi e convenzioni?

Ed infine: come cristiani e come Chiese, a chi siamo chiamati a “farci prossimo”?

Che il Signore Dio che anche in questo momento in cui insieme lo preghiamo è prossimo a noi, ci illumini e guidi con il dono dello Spirito Santo affinché ci sentiamo responsabili dei fratelli e delle sorelle di fede e di tutti gli uomini e le donne che vivono con noi in questo mondo e che ogni giorno possiamo sempre più crescere nel farci prossimo a vicenda e nel divenire prossimi di tutti. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina