Omelia Alla Veglia Ecumenica Di Preghiera “Credi Tu Questo?”

Collefiorito di Guidonia, Parrocchia San Filippo Neri, Venerdì 24 gennaio 2025

Cari fratelli e sorelle nel Signore, mi sia innanzitutto consentito un cordiale saluto ai fratelli cristiani di altre confessioni o tradizioni liturgiche qui presenti in questa Veglia di preghiera a 1700 anni dal Concilio di Nicea.

Saluto e ringrazio per la loro presenza il Rev.do Lucian Lechintan, sj, greco cattolico-rumeno in rappresentanza di S.E. Mons. Cristian Dumitru Crisan, Coordinatore nazionale dei Greco Cattolici in Italia; Padre Joan Florea della comunità Rumena Ortodossa di Tivoli, il Pastore Luca Baratto, della Tavola Valdese. E con loro saluto e ringrazio per la presenza i fedeli delle loro comunità come saluto sacerdoti e fedeli della mia comunità Cattolica qui presenti per rinnovare insieme la nostra fede nel Risorto, quella fede che i nostri avi chiarirono come comune durante il Concilio di Nicea ed espressero con la formulazione del Credo di Nicea al quale, togliendo le scomuniche durante il Concilio di Costantinopoli nel 381 noi ancora oggi durante le celebrazioni domenicali dell’Eucaristia preghiamo insieme dicendo “noi crediamo”!

La Veglia di stasera ci invita infatti ad andare alle radici di ciò che ci è comune: la fede nel Risorto e che anche noi risorgeremo.

“Io sono la risurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore vivrà” dice Gesù a Marta nel noto brano evangelico da cui siamo partiti in questa celebrazione. Gesù è infatti luce che risplende nelle tenebre, vita che risveglia dalla morte.

Lazzaro, “il nostro amico” – così lo chiama Gesù, come considera e chiama amici anche tutti noi – “dorme”. Mentre per noi la morte è la fine di ogni speranza, per Gesù, invece, sulla linea della rivelazione biblica, è termine del giorno vecchio e inizio del sonno ristoratore a cui segue il risveglio di un nuovo giorno. E siccome Lazzaro, come ogni uomo è amico di Gesù, è amato da Gesù, Lazzaro anche se è morto vive. Amare uno significa dirgli “Tu non morrai”. Alla luce dell’amore del Figlio, la morte non è più l’attesa angosciante, l’abisso che risucchia, la tragedia della vita: è piuttosto comunione con il Padre. Dunque: per Gesù la morte è un sonno, per i discepoli è ancora la fine di tutto.

Gesù va dunque da Lazzaro. “Lazzaro è morto” dice. Gesù ha atteso che Lazzaro morisse. E lui va a svegliarlo dalla morte per rivelare la gloria di Dio.

Gesù pare quindi assurdo quando dice ai suoi discepoli al v.15: “gioisco per voi”, gioisce per i suoi discepoli per non essere stato da Lazzaro mentre era ammalato e poteva ancora guarirlo. Ma Gesù ha voluto attendere “affinché crediate”, affinché crediamo. La risurrezione di Lazzaro sarà per i discepoli il segno che fa loro credere in Gesù come risurrezione e vita.

Per cui esorta i suoi discepoli ad andare con lui dall’amico Lazzaro ormai morto. Se infatti ormai erano passati 4 giorni e Lazzaro era ormai considerato in balia del buio della morte senza più legami terreni, per Gesù invece Lazzaro è ancora amico e per questo gli va incontro. E mentre va incontro all’amico morto questo andare verso Betania a compiere ciò che sta per fare significa per Gesù andare incontro alla propria morte (Betania era vicina a Gerusalemme dove Gesù sarà messo a morte), anche per Lui piena di angoscia e di paura, tuttavia Gesù sa che il suo morire è un dare la vita a favore dei fratelli, per riceverla di nuovo.

Gesù dunque arriva dopo quattro giorni che Lazzaro era morto, Gesù incontra il suo amico quando egli è già morto. Quattro significa che fosse già iniziata la decomposizione. Lì, a Betania, ci sono molti altri amici di Lazzaro e delle sue sorelle Marta e Maria venuti a compiere un grande gesto di umanità che è consolare chi è nel dolore. Sono solidali nel lutto, nel dolore … è quanto riesce meglio anche a noi perché spesso ci riconosciamo nel destino dell’altro. Ma mentre i giudei potevano spendere buone parole sulla risurrezione futura, non sapevano e non sanno dare vita a un morto o dare ai vivi, in attesa di morte, quella vita che vince la morte.

Marta, saputo che veniva Gesù, esce per andargli incontro, esce dal suo mondo di afflizione per andare incontro al Signore che viene. Per arrivare a dire Io credo occorre che usciamo da noi per immetterci in un cammino di ascolto del Maestro, in un cammino di fede.

Marta rimprovera Gesù: se tu fossi stato qui … mio fratello non sarebbe morto … pare dirgli ma che Dio pretendi di essere se non mi salvi dal dolore e dalla morte? E mentre pare rimproverare Gesù sa anche che Gesù è in grado di farlo tornare in vita, perché da Dio ottiene tutto. Marta ha fiducia che Gesù rianimerà Lazzaro ma lo farà come occasione per rianimare in lei la fiducia in Lui, vita senza tramonto.

Gesù la assicura: “Tuo fratello risorgerà!”, pare una consolazione generica che rimanda all’ultimo giorno. Ma per Marta quell’ultimo giorno pare lontano; la speranza di esso non toglie il suo dolore. Anche lei sa che Dio, alla fine, eliminerà la morte per sempre (Is 25,8), crede alla grande promessa, compimento della creazione. Ignora però che l’ultimo giorno è già presente in Gesù, che dà lo Spirito (cfr 7,37-39).

Gesù allora si presenta: “Io sono la risurrezione e la vita”. Non c’è solo la risurrezione futura ma per noi Egli è risurrezione già presente, perché in se stesso è vita: l’ha ricevuta dal Padre e la comunica ai fratelli. La risposta di Gesù si pone dunque a un livello più alto del desiderio di Marta. Ciò che ha chiesto le sarà concesso; ma questo è niente rispetto al dono che Gesù vuole farle, molto più grande di ogni sua attesa.

“Chi crede in me – le dice Gesù –, anche se muore, vivrà”. La fede in Gesù non ci salva dalla morte, ma ci dà qui e ora la vita eterna: è venuta l’ora, è adesso, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata vivranno (5,25). Noi tutti, cari amici, siamo dei morti viventi, in marcia verso il sepolcro; ma se ascoltiamo la voce del Figlio, vinciamo la morte. Infatti “chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita (5,24). Ascoltare la sua parola è amare i fratelli: questo è il suo comando (13,34), che ci fa passare dalla morte alla vita. Infatti, chi ama, non dimora nella morte (cfr 1Gv 3,14), ma in Dio, che è amore (1Gv 4,16b). Credere in Lui è già vivere oltre la morte: si muore fisicamente, ma si “vivrà” in Lui quella vita nell’amore che inizia ora e si manifesterà, senza veli, nell’ultimo giorno.

“Chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Gv 11,26). Gesù offre la possibilità di vivere “in Lui”. La fede infatti ci fa abitare in Lui come Lui in noi, ci fa vivere di Lui, pane di vita (cfr 6,48-58). Chi vive e crede nel Figlio, pur morendo, non morirà in eterno: per lui la morte non sarà chiudere, ma aprire gli occhi su ciò che già ora ha in sé: l’amore del Padre e del Figlio. Questa è la vita eterna, pegno di risurrezione futura, che ci fa esporre, disporre e deporre la vita a favore dei fratelli, per realizzarla pienamente (cfr 10,11-18).

E giungiamo così alla domanda che dà il tema alla nostra Veglia: “Credi questo?”. In genere la fede riguarda la persona di Gesù, il Vangelo o Dio. Qui invece, sorprendentemente, riguarda quanto Gesù ha detto: Lui infatti è la sua stessa Parola. Marta deve passare da una fede nel suo potere miracolistico a quella fede che incontra Gesù e accetta la sua Parola.

Marta dimentica così la domanda da cui era partito il dialogo con Gesù e risponde alla domanda ben più importante che Gesù rivolge a Lei: “Credi questo?”. E risponde: “Sì, Signore. Io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”.

E così la vera risurrezione è la sua e non quella di Lazzaro, perché crede in Gesù come Cristo e come Figlio di Dio. Se il fratello uscirà dal sepolcro, per questa sua fede Marta nasce alla vita stessa di figlia di Dio. La sua è la fede alla quale il Vangelo vuol portare il lettore: credere che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, per avere la vita nel suo nome (20,31). Infatti chi crede in Lui non muore, ma ha la vita eterna (3,16b): egli è la Parola, vita di tutto ciò che è (cfr 1,1-3). Marta giunge alla fede piena in Gesù, come il Battista prima di lei (1,34). A questo punto la sua attenzione non è più sulla morte del fratello o sull’attesa della sua restituzione alla vita: è tutta concentrata su Gesù, che dona qui e ora la vita a chi lo ascolta.

Gesù non è venuto per ridare a un cadavere la vita vecchia, ma per “risuscitare” a una vita nuova chi crede in Lui. Non sarebbe stato un servizio da amico far rivivere e morire due volte, come se non bastasse una volta sola! Egli vuol farci vivere nella nostra condizione mortale, la vita eterna, che è l’amore per il Padre e per i fratelli.

Cari amici, la liturgia di stasera pone anche a noi la domanda: “Credi tu questo?”.

La risposta al Concilio di Nicea fu condivisa: sì tutti noi crediamo che Lui è risorto e vivo e che con la sua Pasqua assicura la vita eterna a chi ascolta e crede nella sua Parola.

E questo ci rende fratelli e per questo non possiamo non vivere da fratelli!

Nell’ultimo brano di Vangelo che abbiamo ascoltato Gesù risorto appare ai discepoli e dà loro lo Spirito Santo, vero principio della vita nuova.

Manca un discepolo: Tommaso. Tommaso che poi farà una professione di fede bellissima – “Mio Signore e mio Dio!” dirà davanti a Gesù che otto giorni dopo apparirà anche a lui, assente durante la prima apparizione del Risorto e che faticava a credere sulla testimonianza dei fratelli.

Tommaso – che vuol dire Didimo – ossia fratello gemello, potremmo dire che è fratello gemello di ciascuno di noi. E per trovare Cristo risorto non deve estraniarsi dalla comunità degli altri fratelli. Otto giorni dopo deve rientrare nella comunione e così potrà incontrare il Risorto e vederlo risorto e vivo, con i segni della passione trasformati in piaghe gloriose e si potrà così preparare con loro al tempo in cui crederanno senza vederlo, quando cioè lo mostreranno nella sua carne, non lo vedranno ma lo faranno vedere. Ma per arrivarci devono stare insieme e, aggiungerei, stare insieme nella liturgia domenicale.

La fede cristiana non è un fatto privato, individuale. Nessuno incontra il Signore risorto se non all’interno della comunione fraterna. Se la risurrezione non conduce alla comunione ecclesiale, allora non è la risurrezione del Signore ma un perfezionismo individualistico o un prodotto della nostra immaginazione. La risurrezione è fondamentalmente una esperienza fraterna, ecclesiale. L’intera fede cristiana si coniuga al plurale. La forma originale greca del Credo è “Noi crediamo …”. Il Padre che invochiamo non è “mio” ma “nostro”. La fede si riceve nella Chiesa. Credere è qualcosa che facciamo insieme ad altri. La sorgente e insieme la meta della fede è stare con i fratelli.

In questa sera di preghiera chiediamo che tutti noi che diciamo “Noi crediamo …” possiamo essere sempre più uniti nel rispetto delle nostre tradizioni ma sempre più uniti nella comune fede nella risurrezione. Quest’anno la data della Pasqua tra le nostre Chiese coinciderà che sia accolto questo segno non soltanto per continuare a studiare come fare per adottare una data comune per la celebrazione della Pasqua ma innanzitutto per rinnovare e impegnarci maggiormente a vivere nell’unità, tra tanti fratelli che se si isolano come Tommaso non riusciranno a vedere il Risorto ma se staranno sempre più insieme riconosceranno insieme il Risorto e insieme professeranno la fede: “Mio Signore e mio Dio”! Io credo in te, noi crediamo in Te. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina