Omelia alla Veglia Ecumenica di Preghiera

Villanova di Guidonia, Parrocchia di San Giuseppe Artigiano, Venerdì 24 gennaio 2020

Carissimi fratelli e sorelle,

anche quest’anno ci troviamo insieme per pregare per l’unità dei cristiani.

Saluto con fraterno affetto nel Signore i fratelli di altre confessioni cristiane qui presenti: in particolare il Segretario Organizzativo della Federazione delle Chiese Evangeliche d’Italia, Pastore Luca Baratto; Padre Joan Florea della comunità Ortodossa Rumena di Tivoli e tutti gli altri ministri di culto qui presenti.

Il tema di questo Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani è tratto dal primo brano biblico che abbiamo ascoltato: il versetto 2 del capitolo 28 degli Atti degli Apostoli: “Ci trattarono con gentilezza”.

È un atteggiamento avuto dagli abitanti dell’Isola di Malta sulla quale fece naufragio l’Apostolo Paolo nella sua navigazione verso l’Italia insieme ai 276 uomini che erano con lui sulla nave, 276 uomini che sono come uno spaccato dell’umanità che navigando in mezzo alla storia è sballottata a destra e a sinistra. Un atteggiamento filantropico, di amore all’uomo da parte di indigeni, di “barbari” – così venivano chiamati coloro che non parlavano il greco – ma che dovremmo riscoprire e vivere insieme anche noi oggi dove sicuramente il problema dell’accoglienza è molto vivo, e come per i maltesi l’accoglienza di Paolo e di chi viaggiava con lui fu l’inizio dell’accoglienza del cristianesimo forse anche per noi, accogliere i fratelli e le sorelle che vengono da lontano, potrebbe essere il modo di riscoprire il Vangelo e la potenza dell’amore risorto del Signore.

Ma non voglio fermarmi su questo aspetto, bensì sulla necessità di essere uniti per obbedire a quel comando che Gesù ci ha dato dopo la sua Risurrezione: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura” … “Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro e confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano”.

È quanto hanno fatto gli Apostoli, è quanto ha fatto Paolo, è quanto dobbiamo fare anche noi! Uniti, insieme, confidando nella potenza del Risorto che è con noi, opera con noi, nella potenza dello Spirito Santo che non ci abbandona.

Mi piace vedere in Paolo che naviga insieme ad altri uomini vicini o lontani da lui e dal Signore il nostro mondo: siamo – lo si dice comunemente – sulla stessa barca.

Una barca – quella dell’umanità – che è chiamata a navigare in un mondo che pare voler vivere “come se Dio non esistesse”. Siamo nel mondo definito della “modernità liquida”, priva di certezze solide cui appigliarsi; nella “società del rischio globale” dove tutto è sfida su cui misurarsi; siamo la “società della gratificazione istantanea” con l’autoreferenzialità che pare imporsi su tutto; siamo nell’epoca della precarietà, dell’incertezza, della insicurezza, dove anche grazie ai media digitali i vari modelli culturali, le tradizioni religiose … si incontrano e scontrano con velocità e violenza forti; dove sperimentiamo la crisi dell’umano; dell’esperienza religiosa senza Dio; dove si è dentro una rivoluzione digitale che rende l’uomo più fragile, le scelte reversibili o addirittura cresce la paura per ogni scelta definitiva …

Non vado oltre a descrivere questa tempesta nella quale credo che per tutti noi sia difficile – umanamente parlando – predicare il Vangelo del Risorto.

Ma siamo tutti sulla stessa barca e come fece Paolo non dobbiamo avere paura ad affrontare il mare aperto.

Sulla nave che Paolo aveva preso insieme ai suoi e dove c’erano schiavi, soldati, mercanti, marinai … Paolo sa che c’è anche il Risorto che non abbandona i suoi. C’è Dio che in Cristo si è fatto uomo, che con il dono dello Spirito Santo riesce sempre, in ogni stagione della storia a traghettare gli uomini a un approdo sicuro.

Paolo sa che stava per salpare in un periodo di navigazione insicura, aveva avvertito del pericolo di essere costretti qualora si fosse incontrata la tempesta nel periodo in cui navigare era difficile – dovremmo essere nei mesi invernali – a gettare il carico a mare. E così forse dovremmo fare anche noi con le nostre comunità, con le nostre Chiese: se desideriamo giungere ad un approdo sicuro, alla nostra Malta dove il Dio di Gesù Cristo, il Dio di Paolo fu riconosciuto, occorrerà abbandonare un po’ di zavorre, di carichi di storia, di divisioni, di pregiudizi e scomuniche che ci siamo lanciati per navigare con Cristo al centro.

Nel viaggio dell’Apostolo molti elementi ci richiamano Gesù che ha camminato nella storia e al quale come Paolo anche noi dobbiamo unicamente guardare, conformarci se desideriamo giungere alla nostra Malta.

Paolo fin dall’inizio avverte che questo viaggio sarà molto pericoloso, proprio come Gesù che avvertiva della pericolosità del suo viaggio verso Gerusalemme. Poi deve affrontare una tempesta violenta che possiamo paragonare alla flagellazione e crocifissione di Gesù, alla sua passione e morte. Con Paolo ci sono persone estenuate dal digiuno forzato proprio come estenuato era Gesù sulla croce. E infine la barca si sfascia, proprio come si squarciò il velo del tempio mentre Gesù moriva sulla croce.

Ma Paolo, come Gesù, e così come dovremmo fare noi insieme in questo contesto storico, in questa epoca, non fuggì davanti al pericolo, rimase al suo posto proprio come Gesù che davanti a chi lo veniva a prendere con spade e bastoni non indietreggiò nella notte in cui fu tradito ma assunse il rischio su di sé e così portò l’umanità tutta a salvezza. Lo stesso dobbiamo fare anche noi, apostoli di Gesù, apostoli del Risorto che agiscono con Lui, grazie a Lui, che sono capaci di qualcosa tanto più quanto più si lasciano invadere dalla potenza dello Spirito e portano la salvezza di Cristo al mondo al di là dei meriti perché Qualcuno – Cristo – ha portato già su di sé il rischio del passare per la morte per condurci alla risurrezione.

Paolo dice: perderemo la barca, ma non la vita! Tuttavia occorre stare sulla barca, non lasciarsi vincere dalla tentazione di fuggire da essa, occorre che si imponga anche tra noi cristiani in questo momento difficile per l’annuncio del Risorto la solidarietà. C’è sempre nei momenti difficili la tentazione di fuggire, di dare la colpa agli altri se le cose vanno male … Ma questa non è la logica di Gesù che invece ci chiede di stare insieme.

Paolo non cedette alla tentazione di rassegnarsi davanti alla tempesta, di lasciarsi morire – come a volte facciamo noi che pensiamo che ciò che vale sia la qualità della vita e se non è garantita allora ci rassegniamo … – o fuggire. No, si alzò in piedi, incoraggiò e poi fece un gesto che per noi cristiani rimanda subito all’Eucaristia, spezzò il pane come a dire che nulla era perduto, che il progetto di salvezza che Dio ha per il suo popolo è ancora attuale. E invita a non temere perché un angelo di Dio a cui lui appartiene e serve gli ha garantito che si sarebbero salvati. Paolo non parla direttamente di Dio – potrebbe essere rifiutato a priori – ma parla di un angelo del Dio a cui lui appartiene che gli ha assicurato salvezza a lui e a coloro che saranno con lui.

Paolo così, senza fare tante prediche, tratta i suoi compagni di viaggio come fratelli di comunità e così con tutti condivide il cibo – immagine dell’Eucaristia – che rende tutti, anche nella tempesta, di buon animo, fa riacquistare la speranza, la consolazione di sapersi appartenenti a una comunità.

Ma la tempesta continua perché Gesù non salva dalla tempesta ma nella tempesta!

Occorre buttare dalla nave anche il frumento. Come non vedere una immagine del chicco di grano che deve morire se vuol portare frutto … Cristo deve passare per gli abissi della morte per ridare vita e salvezza.

E finalmente come i naufraghi che raggiungono anche oggi le nostre terre, senza nave, Paolo e i suoi giungono a Malta.

Furono accolti con gentilezza. Come dobbiamo accogliere noi, come speriamo tutti di essere accolti dagli altri.

E grazie a questa accoglienza il Risorto poté giungere a Malta.

La tempesta marittima era finita ma ora iniziava un attacco di terra. Dal fascio di legna che Paolo buttò sul fuoco per scaldarsi uscì una vipera che gli morse la mano ma che lui, apostolo del Risorto, prese in mano e buttò nel fuoco, non rimase avvelenato e riuscì cosi a operare guarigioni in nome di Cristo e il Risorto si fece strada, giunse a Malta e poi Paolo ripartì per l’Italia per giungere poi a Roma dove avrebbe fecondato la capitale dell’Impero con il suo sangue.

Cari amici, rimaniamo insieme sulla stessa barca, in questa epoca di tempeste continuiamo a credere, sperare, ad avere fiducia, a convertirci al Signore. Nulla ci potrà vincere perché Lui ha vinto il mondo, perché Lui è il Signore della storia e della vita degli uomini, di ciascun uomo e di tutti noi insieme.

Chiediamo a Dio nella preghiera, in questa sera, che non prevalgano su di noi le divisioni ma il riconoscerci dei salvati dal Risorto, degli accolti da Lui che devono accogliersi tra loro e che devono accogliere gli altri per permettere a Cristo di regnare nei loro cuori e nei cuori di tutti affinché il mondo conosca un’era di giustizia e di pace e l’umanità possa continuare a camminare verso quell’approdo sicuro che è l’incontro con Lui che per amore è e rimane il Dio con noi e per noi. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina