Omelia alla Veglia Missionaria Diocesana 2023

Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Sabato 21 ottobre 2023

Cari amici,

stiamo celebrando la Veglia Missionaria diocesana per pregare per quanti sono partiti per la Missio ad gentes, per le cosiddette “terre di missione”, ossia per i nostri missionari.

Stiamo celebrando la Veglia per pregare perché il Signore susciti altre vocazioni missionarie tra i cristiani di Tivoli e di Palestrina.

Ma celebriamo questa Veglia anche perché lo spirito missionario animi i cuori di tutti i cristiani a partire da noi chiamati tutti ad essere “discepoli-missionari” del Risorto là dove viviamo.

Il tema della Veglia si avvicina a quanto la nostra Chiesa diocesana sta cercando di vivere in questo anno pastorale mossa dalla mia Lettera “Perché il cuore arda”.

Il tema della Veglia e della Giornata Missionaria è infatti: “Cuori ardenti, piedi in cammino” e si rifà al Vangelo dei discepoli di Emmaus che ci è stato proclamato. Un Vangelo che ci dice che tutti siamo chiamati ad essere missionari – ossia portatori dell’annuncio del Vangelo, comunicatori della gioia che viene dall’incontro con il Risorto –; Vangelo che ci dice da dove nasce la missione e quale deve essere lo stile del discepolo missionario.

Cerco di rileggere con voi il Vangelo ascoltato.

Si colloca “In quello stesso giorno …”. Il giorno di Pasqua.

Due discepoli si stanno allontanando tristi, da Gerusalemme.

Avevano seguito Gesù, speravano in Lui, ma è morto in croce. Tutto è finito. Tristi e delusi se ne vanno verso casa allontanandosi da Gerusalemme.

Non è forse la situazione di tanti di noi?

Certamente è la situazione di chi non avendo mai incontrato il Risorto e confidando solo nelle proprie forze, nel suo denaro, nel suo potere, nelle sue tradizioni, nella sua religiosità fatta di regole e leggi ma mancante di incontro con il Dio di Gesù Cristo, vive male. È triste perché le sue cose non lo soddisfano, perché la sua religiosità non rispetta la sua libertà e non risponde al bisogno di vita eterna e di misericordia che il cuore dell’uomo sente fortemente, perché forse non ha mai nemmeno coltivato una dimensione religiosa e vive le logiche del vince chi è più forte, logiche di guerra e non di pace, di divisione e non di unione.

Ma è la situazione anche di tanti noi cristiani. Sì, siamo battezzati, comunicati e cresimati, veniamo anche in Chiesa alla domenica ma siamo spesso tristi … chi incontra le nostre comunità non respira certo aria di Pasqua. Forse sente profumo di un po’ di incenso … ma non aria di Pasqua. Viviamo infatti, anche se siamo cristiani, nell’epoca della “morte di Dio” … dove il presente lo si concepisce come valore in sé, libero da passato e futuro, eticamente immotivato. Dove di fatto anche tanti di noi vivono come se Dio non esistesse, affascinati anche senza esserne consapevoli dalla morte di Dio che ci fa da una parte credere che siamo liberi ma nello stesso tempo ci fa sentire come in mare aperto, senza meta, avvolti nell’infinito …

Come diceva Nietzsche Dio è stato ucciso nell’indifferenza e nella disattenzione con la furbizia e il compiacimento dell’uomo mediocre. Dio è morto tra uomini addomesticati e vili, senza comprendere la drammaticità del fatto e così anche il mondo perde la sua unità organica e lo stesso soggetto umano si eclissa divenendo qualcosa di non sostanziale, una formazione provvisoria e precaria, soggetta al conflitto delle varie forze biologiche.

Sì, anche noi cristiani che viviamo in questa epoca siamo tristi. Tristi perché abbiamo perduto il riferimento a Dio, perché viviamo una fede di tradizione, di “si è sempre fatto così” e non lasciamo che l’ascolto della Parola di Gesù scaldi il nostro cuore.

Come i due di Emmaus, dunque, camminiamo tristi.

Il Risorto si avvicina a loro mentre camminano. Li ascolta, ascolta la loro delusione. Come ascolta noi e vuole che anche noi ascoltiamo le delusioni altrui.

La Missione non si fa infatti andando a proclamare il Vangelo a gamba tesa, da un pulpito, con la croce in mano … ma innanzitutto mettendoci a fianco di chi cammina triste nella vita.

E poi Gesù fa ascoltare ai due tutto ciò che nelle Scritture si riferiva a Lui. Tant’è che i loro cuori si riprendono. Sentono gioia. E chiedono: “Resta con noi, perché si fa sera …”.

Gesù rimane. E poi, a tavola, compie i gesti tipici del padre ebreo di casa: prende il pane, recita la benedizione, lo spezza … erano i gesti dell’Ultima Cena … E qui gli occhi dei due si aprono, lo riconoscono: è Gesù Risorto! Si ricordano che mentre gli spiegava le Scritture i loro cuori ardevano … Era tornata la gioia!

Cari amici come vorrei che tutti noi sentissimo la gioia attraverso l’ascolto della Parola e celebrando nella comunità l’Eucaristia dove non solo Cristo spezza il pane ma si fa “pane spezzato per noi”, affinché con il cuore che arde per aver ascoltato la Sua Parola e con il cuore pieno di Lui che si fa pane per noi donandoci se stesso sulla croce tutti ci mettiamo in stato di missione, ci mettiamo in cammino!

Il Vangelo termina dicendo che i due di Emmaus tornarono indietro, a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro – la Chiesa – i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!” e con la Chiesa “narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane”.

Chiediamo che ciò che accadde ai due di Emmaus accada anche a noi.

Che permettiamo a Cristo di parlare ai nostri cuori: ascoltando la sua Parola.

Che Cristo sia riconosciuto e sentito come un Dio che ci ama fino a spezzarsi per noi come pane nell’Eucaristia dove ci dona se stesso affinché il nostro cuore sia pieno di gioia.

E incontrandolo, vedendolo, sperimentando l’amore che ha per noi, un amore che va al di là delle nostre forze che anche quando desiderano amare sono fragili e facilmente si spengono, ci lasciamo riempire occhi e cuore della Sua gioia. E così ci rendiamo missionari, portatori della gioia che deriva dall’incontro con il Risorto, a tutti gli uomini e le donne che incontriamo, fino agli estremi confini della terra.

Chi incontra Cristo non può essere triste e anche se le difficoltà non mancano, pieno di speranza va e colmo di gioia la sa condividere con tutti, con le parole e con le azioni.

Vorrei ancora sottolineare, però, con quale stile si deve andare.

Quello di Gesù. Che camminava con chi era triste e stanco, che li ascoltava, che ha saputo inserire l’annuncio della sua Pasqua con forza e amore, intessendo un dialogo con loro …

È lo stile che dobbiamo assumere. E dobbiamo assumerlo insieme. Come Chiesa sinodale che vive la comunione, la partecipazione e tutto per la missione! Sì, perché la missione la Chiesa la fa insieme, i cristiani battezzati la fanno insieme gioiando perché hanno sperimentato nella comunità quanto è buono il Signore.

Continuiamo ora la nostra Veglia.

Preghiamo innanzitutto per chi ci ha annunciato il Vangelo e ci ha fatto incontrare con la sua vita e la sua testimonianza il Risorto in cui crediamo. Stasera ringraziamo per quanti si sono fatti prossimi a noi e ci hanno trasmesso la gioia del Vangelo.

Preghiamo ancora per quanti stanno vivendo come i due di Emmaus, tristi. Perché trovino una Chiesa, compagnia affidabile di amici, che insieme sappia avvicinarsi a loro per ascoltarli, annunciar loro la Parola per invitarli all’Eucaristia, per condividere la gioia che arde nei loro cuori.

E preghiamo per quanti nel mondo hanno incontrato il Risorto e ora stanno condividendo la gioia che abita i loro occhi e i loro cuori con quanti incontrano.

Sono i nostri missionari “ad gentes”, siamo noi – se lo vogliamo –, nessuno escluso!

Preghiamo e ringraziamo per i nostri missionari che ci spronano a essere tutti discepoli missionari del Signore affinché la pace – primo augurio del Risorto ai suoi chiusi nel cenacolo nella sera di Pasqua –, la pace che solo Cristo sa donare, regni soprattutto in questa ora della storia sulla nostra umanità. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina