Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Domenica 20 ottobre 2019
Carissimi amici,
celebriamo insieme la Veglia di preghiera nella Giornata Missionaria Mondiale in questo mese missionario straordinario voluto da Papa Francesco affinché tutta la Chiesa comprenda da dove deriva a ogni battezzato il dovere della missione e cosa voglia dire, in questa epoca cambiata, essere missionari. Missionari in un mondo dove non ci sono più terre e popoli da evangelizzare ma dove, in un contesto globale che rende ormai le persone che vivono nel mondo interconnesse si afferma sempre più come una mancanza di speranza, di gioia, di fiducia in Dio e nei fratelli ed aumentano le paure dell’altro, del diverso da me, per chi sfruttando la terra madre di tutti la sta mandando in rovina per interessi economici di potenze che nemmeno riusciamo bene ad identificare e, più semplicemente, per egoismi che non ci fanno pensare al bene comune, non ci permettono di condividere ciò che abbiamo e ciò che siamo con chi ha meno di noi ed è diverso da noi e forse almeno economicamente più povero di noi.
Da dove ripartire per ridare gioia e futuro al mondo?
Innanzitutto dalla consapevolezza di essere stati battezzati ed inviati.
Che in virtù del Battesimo ricevuto e che stasera lungo questa Veglia riscopriremo con tutti i suoi segni e significati, noi siamo stati riempiti dello Spirito Santo non per tenerlo per noi; siamo stati innestati nella stessa vita di Dio come un ramo in una pianta per vivere di questa linfa vitale che è lo Spirito del Risorto, assumerci al di là del nostro stato di vita nella Chiesa – preti, diaconi, suore, fedeli laici … – il dovere della riconoscenza verso chi ci ama tanto, verso Colui che è morto e risorto per me, che è per me speranza affidabile e certa e che sono chiamato a condividere sia nelle terre che abito sia in quelle lontane dalle nostre case.
Mi ha impressionato molto un intervento di un Padre Sinodale, un vecchio missionario in Ecuador da 60 anni, invitato dal Papa al Sinodo dei Vescovi dell’Amazzonia che davanti all’ipotesi che la Chiesa in certe zone del mondo prive di clero conceda ai viri probati la possibilità di essere ordinati sacerdoti per le comunità sperdute ad esempio nella foresta Amazzonica che hanno la Messa soltanto due o tre volte all’anno, abbia detto che questa non è la soluzione al problema dell’evangelizzazione. Infatti – e al di là di quanto dirà il Papa al termine del Sinodo e che accoglieremo con spirito docile e obbediente, condivido il suo pensiero – sarebbe ricadere nel rischio del clericalismo e non permetteremmo a tutto il popolo di Dio e in particolare ai fedeli laici battezzati di assumersi le proprie responsabilità di amati dal Risorto, riempiti di Spirito Santo per vivere rapporti fraterni e insieme a tutta la Chiesa essere impegnati a portare il Vangelo nelle terre che ne necessitano, a portare il Risorto nelle culture che desiderano accogliere il messaggio di Cristo che non si impone a nessuno ma si incultura e rende bella, gioiosa, significativa, ricca di speranza la vita!
Con questo spirito noi stasera in questa Veglia ripercorreremo le tappe del nostro Battesimo per poi essere nel mondo – vicino o lontano che sia – testimoni, inviati a rispondere della speranza che c’è in noi.
Domandiamoci innanzitutto che cosa è accaduto nel giorno in cui abbiamo ricevuto il Battesimo?
La potenza della Pasqua di Cristo, grazie al dono dello Spirito, ci è stata comunicata.
È bello il Vangelo appena ascoltato: Maria di Magdala accanto al sepolcro vuoto è piena di dolore e piange. Piange per il motivo che dovrebbe riempirle il cuore di gioia ma ancora non lo sa.
San Gregorio ammira questa donna così fedele, che rimane vicina al sepolcro. Gli Apostoli erano andati al sepolcro ma poi se ne erano andati via. E lei, invece, è rimasta lì trattenuta da un affetto profondo, che per ora è soltanto umano, ma che la prepara all’incontro con il Signore risorto.
Il suo dolore forse è anche il nostro dolore. Il dolore di chi ha perduto il suo Signore, di chi in questo mondo ha perduto la fede o forse non ha mai avuto la possibilità di credere perché non ha mai trovato qualcuno che gli favorisse l’incontro con il Risorto.
Il dolore tuttavia scava il cuore di Maria di Magdala. Occorre che il dolore, il desiderio di Qualcuno che ci riempia la vita di senso ci scavi a tutti il cuore. Soltanto così il cuore, infatti, può essere riempito di gioia soprannaturale.
Anche noi spesso ci lamentiamo, siamo tristi mentre invece avremmo una profonda ragione per rallegrarci per la gioia che il Signore ci prepara.
Se noi cristiani siamo così poco contagiosi, spesso è perché pur avendo il Risorto vicino come lo aveva vicino Maria di Magdala, non lo sappiamo vedere. Ci fermiamo all’esteriorità, ai motivi umani che ci rattristano: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto” … ma Maria, come noi, deve convertirsi: sta cercando un morto e invece deve cercare un vivo. E soltanto Gesù può operare questa conversione chiamandola per nome, così come siamo stati chiamati per nome noi nel giorno del nostro Battesimo. “Maria!”, la chiama … e tutto cambia.
Abbiamo iniziato questa liturgia nella penombra. In fondo è la situazione di buio nella quale vive l’uomo. In questa situazione non possiamo far altro che piangere. Ma al momento opportuno Gesù ci ha chiamato, con il Battesimo ha detto il nostro nome e ci ha dato se stesso, Lui, il Risorto è entrato a vivere in noi destinandoci alla gioia – se lo lasciamo entrare – in questa vita e all’eternità beata dopo il buio della morte. Lui con il battesimo ci ha chiamati al senso, alla luce, alla pienezza della vita perché lo chiamiamo “Rabbonì! Che significa Maestro mio!”. E lui dice a Maria ma anche a noi: “Va dai miei fratelli è dì loro …”. Prima della risurrezione Gesù non aveva mai chiamato fratelli i suoi discepoli, ora sì. Attraverso la passione e morte si è avvicinato in maniera unica a noi. Ed ora, dopo la risurrezione, pur essendo nella gloria non è più lontano da noi ma più vicino, addirittura intimo a noi stessi, Lui è il nostro fratello che ci conduce al Padre, che in un mondo senza padri ci fa comprendere anche oggi che abbiamo un Padre, il Padre suo e nostro.
Maria Maddalena, piena di gioia, va … e a tutti dice: “Ho visto il Signore!” e così non occupando spazi ma con la sua stessa vita, la sua stessa testimonianza di gioia diviene l’Apostola degli Apostoli, una vera missionaria che non ha fatto pozzi nel deserto – anche se sono utili –, che non ha aperto scuole – anche se sono utilissime – o ospedali o quanto volete ma ha condiviso la gioia dalla quale nascono le opere missionarie per evitare di ridurci a semplici ma pietose ogn, come auspicava il Papa che la Chiesa non divenisse fin dalla sua prima omelia ai Cardinali, appena eletto al soglio di Pietro e prima ancora di uscire dalla Sistina dopo il Conclave.
Lo stesso concetto è ribadito da Pietro nel brano che abbiamo ascoltato come prima lettura e tratto dalla Prima Lettera di Pietro, probabilmente scritto mentre si trovava a Roma in prigionia qualche tempo prima del suo martirio.
Pietro scrive ai cristiani dell’Asia Minore, l’attuale Turchia, cristiani depressi, che pur non essendo ancora perseguitati non godevano dei diritti civili come gli altri loro concittadini. E Pietro dà loro indicazioni pratiche su come vivere la propria fede anche in un ambiente ostile e difficile come doveva essere quello dei cristiani a quel tempo. Essi infatti poiché non si prestavano al culto dell’imperatore erano guardati con sospetto. Si pensava fossero dei cospiratori ai danni dello Stato.
Pietro non fa altro che ricordare a loro come ricorda a noi stasera che il fondamento della nostra fede è la risurrezione di Cristo, e ci suggerisce il modo in cui possiamo vivere la vita nuova che Egli ci ha donato con il Battesimo.
Pietro ringrazia il Signore per quanto ha donato ai fedeli dell’Asia Minore ai quali scrive esortandoli a perseverare nella fede in Lui, amandolo anche se non lo abbiamo visto. Ma credendo in Lui siamo chiamati ad esultare di gioia indicibile e gloriosa perché ci è vicino, ci accompagna nelle prove della vita mentre raggiungiamo la meta della nostra fede: la salvezza delle anime.
Accogliendo l’invito di Pietro anche noi, stasera, benediciamo Dio con la nostra vita. Benediciamo questo Padre che ci ha fatto un grande dono: la rinascita, la rigenerazione, attraverso la risurrezione di Gesù Cristo dai morti. Questo dono è stato fatto in forza della sua misericordia, dell’amore forte, materno, viscerale che ha nei confronti di tutta l’umanità. E la rigenerazione produce una speranza viva. Davanti alla situazione di fatica e di sottile persecuzione i cristiani dell’Asia Minore sono rafforzati da questa speranza sorta dalla loro rigenerazione in Cristo. Nell’esperienza di fede c’è sempre una gioia già presente, il sentire la vicinanza di Dio, l’essere rigenerati in una vita nuova, e una promessa futura, che renderà piena la realizzazione di tutte le promesse.
È un’eredità, quella che attende i cristiani, quella che è la nostra speranza, che non andrà delusa perché è conservata in un luogo sicuro, nei cieli, presso Dio stesso. Lui custodisce questa eredità per noi suoi figli. Ma anche noi siamo custoditi da ogni corruzione. E a custodirci è la nostra fede, grazie alla quale possiamo accedere ai doni divini, in particolare la salvezza che non è ancora stata del tutto rivelata, ma che sarà pienamente conosciuta alla fine dei tempi, che quando Pietro scrive si pensavano imminenti.
Questa situazione dei credenti e la relativa promessa porta una grande quantità di gioia, anche se purtroppo gli interlocutori di Pietro sono soggetti a una certa persecuzione. Anche questa però avrà presto fine. Non si trattava certo di una persecuzione in grande stile, la prima sarebbe iniziata di lì a poco tempo a Roma. Era una certa marginalità vissuta dai cristiani, i quali non si potevano più identificare con i valori religiosi ma nemmeno politici dell’impero romano.
E poiché le prove a cui i cristiani erano sottoposti non potevano essere evitate, Pietro suggerisce loro una chiave di interpretazione in modo da aiutarli a viverle con coraggio. La persecuzione serve come mezzo per purificare la fede, per metterla alla prova, per vedere se è davvero forte, e può essere un valido aiuto per rafforzarla. Questo aumenterà il loro onore al momento in cui si presenteranno davanti a Cristo.
I cristiani hanno già un grande merito: quello di amare Cristo pur senza averlo mai visto. Lo amano e credono in Lui. Anche la nostra fede è di questo tipo, nemmeno noi abbiamo mai visto Cristo, però possiamo dire di avere fatto esperienza di Lui nella nostra vita. Questo è un motivo di gioia.
Pietro dunque incoraggia i suoi interlocutori a perseverare senza paura, anzi nella gioia, perché con queste loro difficoltà essi partecipano alla salvezza della propria anima e di quella degli altri.
Anima è inteso nel senso di vita, la vita che Gesù Cristo dona e che non ha mai fine.
Cari amici, riflettiamo su queste parole che abbiamo ascoltato, sentiamoci degli amati e così degli inviati perché l’amore è diffusivo, non possiamo trattenerlo per noi. In questo modo diventeremo autentici missionari. Che non vanno a colonizzare il mondo con le loro idee, le loro ricchezze, i loro modi di celebrare il Risorto, ma rispettosi di ogni razza e cultura vanno ed evangelizzano per attrazione rendendo la Chiesa e il mondo più bello, unito, fraterno e quindi capace di far vivere altri nella gioia e nella speranza dell’eternità che illumina tutto ciò che siamo chiamati a dire e a fare. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina