Omelia all’Azione Liturgica del Venerdì Santo 2022

Tivoli, Cattedrale di San Lorenzo Martire, Venerdì 15 aprile 2022

Cari fratelli e sorelle,

ieri sera abbiamo iniziato il Triduo Pasquale, i tre giorni che ci condurranno alla Pasqua e che siamo chiamati a vivere come un giorno unico cercando di scandagliarne i vari aspetti che la liturgia ci propone.

Ieri sera abbiamo contemplato il mistero di un Dio che è Amante e ci ama fino a lavarci i piedi donandoci se stesso nell’Eucaristia che se noi mangiamo ci coinvolge in questo mistero di amore ricevuto che ci chiama a donare amore, a lavare i piedi degli altri in attesa che, dopo il nostro lungo viaggio della vita, dove i piedi si sporcano a causa delle nostre tante fragilità e peccati, Dio, il vero protagonista della Cena ci lavi i piedi donandoci eternamente se stesso, il suo Amore.

Stasera abbiamo ascoltato come il gesto dell’Eucaristia è stato attualizzato nel primo Venerdì Santo della storia dal dono del Figlio di Dio, da Colui che è venuto a rivelarci l’Amore del Padre, attraverso la sua passione che, secondo il Vangelo di Giovanni è passione gloriosa. In essa, infatti, a differenza dei racconti di passione fatti da Matteo, Marco e Luca, riusciamo a vedere al di là di quanto è avvenuto a Gerusalemme nell’anno 33. Riusciamo a vedere cioè ciò che Dio ha operato, la sua gloria quale peso, splendore, potenza che si impone. Una gloria, quella di Gesù, tutta diversa dalla gloria che immaginiamo noi, che intendiamo noi uomini quando pensiamo alla gloria.

Nel racconto della passione secondo Giovanni Gesù manifesta ancor più che nella sua vita e nelle sue azioni, più ancora che nei miracoli o segni da Lui compiuti, chi Lui sia. Manifesta quel “Io sono” che dichiara davanti a chi lo viene a catturare per essere consegnato a quanti lo condanneranno alla croce, che dichiara davanti a Pilato che gli domanda se Lui è il Re dei Giudei.

“Io sono” sappiamo che è il nome con il quale Dio si è rivelato a Mosè nel roveto ardente, è il nome di Dio e così Gesù si rivela come Dio, come il vero uomo e il vero Dio. E quando Pilato lo flagellerà Gesù apparirà come l’uomo per eccellenza (“Ecco l’uomo!” Gv 19,5), ma uomo per eccellenza perché pienamente Dio, modello per ogni uomo chiamato a divenire sempre più uno con Dio, a fondersi con la divinità, a divinizzarsi. E ciò avverrà con la Pasqua di risurrezione e con il battesimo che è il dono della vita divina fatta a noi uomini perché possiamo divenire pienamente uomini in quanto pienamente figli nel Figlio, figli di Dio! Sì Gesù si presenta nel Vangelo della passione come l’uomo per eccellenza, l’“uomo coronato di gloria e splendore”. Anche quando i soldati lo disprezzano e lo deridono, Lui appare come Colui che li attira e li fa inginocchiare davanti a sé; quando sta di fronte a Pilato per essere condannato, appare come il giudice delle cose ultime che siede sul trono del giudizio – il Litostroto o Gabbatà –; quando sta in croce, appare come su un trono da cui regna. E quando viene scritta la sua condanna, in verità viene confessato un titolo: “Gesù il Nazareno, il re dei giudei” che esprime la sua identità di messia. E al culmine di tutto il racconto della passione, quando Gesù muore, secondo il Vangelo di Giovanni “consegna lo Spirito” (Gv 19,30), effonde cioè lo Spirito Santo sull’intera creazione. E così la passione di sofferenza e di morte diviene gloria della passione, gloria dell’amare, dell’amore di Gesù “fino alla fine”: la fine dei suoi giorni terreni ma anche la fine del tempo quando tutti saremo introdotti nell’eternità.

Anche nella passione, dunque, protagonista dell’evento è sì Gesù ma è con Lui, inscindibilmente, anche il Padre. Il Padre che per amore consegna il suo Figlio all’umanità perché ha passione per essa, una passione d’amore infinito! “Dio – leggiamo al capitolo 3 del Vangelo di Giovanni – ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio, l’unigenito” (Gv 3,16). Anche Paolo proclama: “Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi” (Rm 8,32) e lo stesso Giovanni nella sua prima Lettera scrive: “Dio ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1Gv 4,10). Ed anche nel quarto canto del Servo di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura vi sono espressioni che dicono la consegna del Figlio da parte del Padre a noi uomini, la consegna del Figlio nelle mani di noi peccatori. Dunque, il Padre nella passione, consegna il Figlio. Gesù è il consegnato e Gesù consegna a sua volta lo Spirito al Padre.

Ma dobbiamo comprendere tutto questo con grande attenzione per evitare di pensare che Dio per salvarci abbia bisogno del sacrificio del Figlio. Sarebbe difficile da capire. Anche Joseph Ratzinger ha scritto: “Ci si allontana con orrore da un Dio che reclama la morte del Figlio. Quanto questa immagine è diffusa tanto è falsa”.

La giusta immagine da recepire guardando a Gesù sulla croce è invece quella che ci rimanda al Padre di cui Gesù crocifisso rimane immagine del Dio invisibile. Ma una immagine di amore per cui sulla croce Gesù può gridare “Chi ha visto me ha visto il Padre!” e Origene ha potuto scrivere: “È sulla croce che Gesù è stato rassomigliante in modo pieno al Padre che ci ama fino all’estremo”. L’origine dell’Amore, il Dio Amante della creazione e dell’uomo, va adorato nudo sulla croce. Il Padre infatti non ha consegnato il suo Figlio per essere soddisfatto, ma per mostrare attraverso suo Figlio che Lui voleva, vuole la comunione con gli uomini, che ama la sua vigna all’estremo – per usare una immagine usata da Gesù nel Vangelo di Marco: “Manderò mio Figlio: avranno rispetto almeno di Lui?” (Mc 12,6). Ecco l’amore del Padre per la sua vigna, per l’umanità. Dio è quel Padre che attende sempre il figlio che si è allontanato dalla sua casa, che si è perduto, per amarlo … che esce dalla casa per pregare il figlio maggiore di rientrare in casa, nel luogo della comunione e dell’amore. Dio è Lui che con il suo Amore che si dona fino all’estremo prega noi, mentre spesso noi pensiamo di essere noi a pregare Lui … Dio anche oggi si rivela come ieri e come domani notte e come sempre come l’Amante, il Padre che ci ripete nonostante noi: “Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ai nemici, Israele? … Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo brucia di compassione” (Os 11,8).

Un Padre così non avrebbe dunque mai potuto abbandonare il suo Figlio sulla croce! Dunque dove poteva essere questo Padre che ha accompagnato il popolo di Israele deportato in Babilonia con la sua protezione e la sua gloria quando il Figlio moriva sulla croce?

Era in Lui, era accanto a Lui, e Gesù lo raccontava fedelmente. Origene scriveva: “Il Padre non è impassibile ma soffre la passione dell’amore.” Ed ancora: “Dio ha sofferto, ha sofferto come si soffre nell’amore”. Non c’è solo il dolore fisico o solo quello psicologico, ma c’è un dolore, una sofferenza più profonda che ognuno di noi conosce come ferita che brucia: soffrire per amore. Anzi, non c’è amore senza sofferenza, questo noi uomini lo sappiamo bene …

Ecco, allora, che Dio, l’Amante che ci ha lavato i piedi perché anche noi ce li laviamo gli uni gli altri, ci amiamo gli uni gli altri, nella passione di Gesù soffre per il male che noi ci facciamo: il male inflitto a Gesù vittima, infatti, è immagine dei mali, delle sofferenze che infliggiamo agli altri, della mancanza di amore con cui li facciamo soffrire. E si faccia attenzione: “non siamo noi che abbiamo amato Dio, ma è lui che ha amato noi”. E dalla croce del suo Figlio ci chiede di “credere nell’amore, ci attira alla croce perché vuole che tutti siamo salvati”. Dio ci aspetta e ci ama mentre siamo ancora suoi nemici, Dio ci perdona mentre noi crocifiggiamo suo Figlio e quindi uccidiamo Lui, rifiutiamo Lui, il Padre, l’Amante per eccellenza, l’origine dell’Amore.

E Gesù narra così Dio, l’Amante, conformandosi in tutto al pensare di Dio, facendo sempre la sua volontà, fino all’estremo.

Ecco allora che sulla croce non c’è un Dio soddisfatto della morte del Figlio, non c’è un Dio che vuole il sacrificio del Figlio, ma un Dio che mostra come il sacrificio, il dare la vita per gli altri è presente in sé come esito del suo essere l’Amante, colui che ama da se stesso e si offre all’altro, all’amato. Non c’è amante, cari fratelli, che non porti la croce iscritta nella sua carne. Dolore e sofferenza in sé non hanno capacità di redenzione: solo l’amore che richiede sempre un “soffrire per amore”, salva!

Nell’ultima cena, ieri sera, abbiamo sentito come Gesù inginocchiato lavava i piedi ai suoi discepoli, in Lui Dio si è inginocchiato davanti a noi per lavarci i piedi e toglierci la nostra sporcizia. Sulla croce, oggi, vedendo Gesù soffrire la sua passione e morte, Dio ci racconta in Gesù il suo amore e la sua sofferenza per la nostra lontananza. E ci prega di rientrare nella sua comunione. Tra poco apparirà davanti ai nostri occhi l’immagine del crocifisso, lasciamoci attirare da Lui, rientriamo tramite Lui che ci mostra l’amore del Padre, in questo amore che è per noi. Lui ci ama e non può cessare di amare. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina