Omelia all’Azione Liturgica del Venerdì Santo e Parole al termine della processione del Cristo Morto 2023

Tivoli, Cattedrale di San Lorenzo Martire, Venerdì 7 aprile 2023

Cari fratelli e sorelle,

ascoltando il Vangelo della passione di Nostro Signore Gesù Cristo secondo l’evangelista Giovanni abbiamo rivissuto, ancora una volta, il grande dramma che si è consumato sul Calvario. Attenzione: quel dramma si è compiuto realmente! Non è una sacra rappresentazione, una Via Crucis vivente, una processione del Cristo morto … no! È un dramma che si è compiuto veramente nella storia e che noi ogni anno in questa liturgia del Venerdì Santo siamo invitati a seguire rivivendo il crescendo di atrocità, umiliazione, volontà di uccidere che in esso ci è stato presentato.

Come un mare in tempesta l’ingiustizia umana si abbatte sul Giusto a ondate sempre più soffocanti, fino ad arrivare alla distruzione: l’arresto, il processo, le percosse, la flagellazione, la via dolorosa, la crocifissione, la fine.

Contro Colui che si è presentato al mondo come la Vita si accaniscono le potenze di morte. Contro il Santo si accanisce la perversità. Contro l’Innocente per eccellenza si accanisce il mistero dell’iniquità.

E così, in quella sera del primo Venerdì Santo della storia, sul Calvario rimane solo la croce a stagliarsi sul giorno che tramonta. La croce vuota, terribile, nera. A questo punto davvero tutto è compiuto. E per chi ha seguito Gesù e anche per noi che diciamo di credere in Lui tutto pare rimanere senza speranza.

E invece da quella croce tutto riparte. Segnato da quella croce l’universo inizia una nuova storia; nel nome di quella croce la forza rinnovatrice dell’amore inizierà a riempire e trasformare la nostra vicenda umana. I nostri odii umani rimangono ma su di essi ogni volta che si innalzerà la croce, nella coscienza di chi crederà nel Cristo che per amore vi è morto sopra, si accenderanno ideali di fraternità, solidarietà, pace.

Tra poco adoreremo quella croce: patibolo per gli schiavi ma per noi simbolo della nostra salvezza. Croce davanti alla quale i nemici non possono rimanere tali, le divisioni non hanno più ragione di essere. Non soltanto perché davanti alla morte per amore non possiamo rimanere divisi e indifferenti ma perché chi muore per amore su quella croce è il Figlio di Dio, uno con il Padre, che sulla croce emette lo spirito, ci dà quell’amore che trasforma ogni cuore e rende fratelli purché lo accogliamo.

Ben a ragione, dunque, potremo proclamare che “Dal legno della croce la gioia è venuta in tutto il mondo”.

Il dramma che abbiamo rivissuto ci ha presentato una serie di personaggi sui quali vale la pena soffermarci per un momento.

Simon Pietro: coraggioso, spavaldo nell’opporsi alle guardie del Sinedrio con la spada ma anche così vigliacco da rinnegare il suo Maestro davanti ad una insinuazione di una pettegola.

Giuda: l’apostolo che bacia e tradisce.

Anna, Caifa, Pilato: i potenti della politica che rimandano l’uno all’altro questo misterioso ed inquietante accusato, quasi giocando tra loro per vedere chi avrebbe dovuto mettere fine al gioco con la condanna a morte.

Le donne che rimangono le sole, insieme al discepolo prediletto, ai piedi della croce rimanendo fedeli all’affetto e all’amicizia che esisteva tra loro e Gesù.

Maria: la madre che doveva avere un cuore pieno di fede e di speranza, un cuore addolorato ma dove confluivano in quel momento tutta la fede e la speranza della terra poiché Lei era l’unica a sapere tutto di quel figlio, da dove era venuto, come era venuto e di chi era veramente il Figlio.

C’è dunque ai piedi della croce una variegata umanità nella quale dobbiamo tutti un po’ riconoscerci con i nostri sentimenti così mutevoli e incoerenti verso Gesù. Con quei sentimenti che a volte ci fanno essere come le donne, altre volte come Pietro, altre come Giuda … qualche volta come Maria … e via dicendo. Ai piedi della croce c’è la nostra umanità così altalenante, fragile, ondivaga. Non dobbiamo nemmeno fare tanta fatica a cercare chi siamo noi tra i personaggi della passione perché siamo un po’ tutti e quindi possiamo dire di essere anche noi parte del dramma.

Il Profeta Isaia ci ricorda: Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci ha dato salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53,5-6).

Dunque quella sofferenza è stata patita per me. Quel sangue è stato versato per me. Quella morte che si è compiuta sulla croce che ora si staglia quasi a ricordarcelo: è stata accettata per me in un atto di amore e obbedienza estrema che ha risollevato tutta la nostra stirpe umana, stirpe di peccatori.

E così Gesù dopo aver cercato e attuato la piena adesione alla volontà del Padre tra grida e lacrime, sul Calvario morendo per noi divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (Eb 5,9).

Tutti noi sentiamo di aver bisogno di perdono. Gesù è il sacerdote unico e vero che dà certezza alle nostre attese di perdono e di vita nuova non più segnata da quel mutare di sentimenti che rappresentano tutti i sentimenti mutevoli del cuore umano incarnati dai personaggi del Vangelo di stasera. Lui è il pontefice sempre vivo e potente alla destra di Dio e nello stesso tempo capace di compatire le nostre infermità, essendo stato provato lui stesso in ogni cosa.

A noi occorre soltanto accostarci con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno (Eb 4,16).

Il Venerdì Santo, dunque, non è una giornata di lutto bensì è il giorno in cui ci è data una nuova e più fondata consapevolezza di come sia fondata la speranza cristiana e che nessun motivo di sconforto può estinguere.

Quello di stasera non è un rito funebre: il Crocifisso del Calvario è perennemente vivo, e proprio in virtù della sua immolazione è sempre in grado di ridarci la vita e la gioia.

Per questo la nostra celebrazione si concluderà con l’incontro eucaristico con Cristo, colui che era morto, ma ora vive per sempre e ha potere sulla morte e sopra gli inferi.

La Chiesa dunque oggi non commemora la sua prima sconfitta. Al contrario canta ed esalta la sua unica ed eterna vittoria. Isaia lo aveva già profetizzato: Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce … Il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità. Perciò io gli darò in premio le moltitudini (Is 53,11.12).

Quel premio siamo noi. Noi che siamo stati riscattati dal suo dolore siamo la sua corona di gloria. Noi che oggi più che in ogni altro giorno dell’anno dobbiamo sentire che con le nostre colpe abbiamo preso parte alla malvagità dei suoi persecutori, oggi dobbiamo come non mai avere la rasserenante persuasione che grazie al suo amore manifestato sulla croce siamo divenuti partecipi anche della sua vita immortale e della sua risurrezione. Quella risurrezione che domani notte celebreremo con gioia, con commozione, perché i nostri peccati, le nostre infedeltà, la nostra pochezza, la nostra ingratitudine verso il Signore della vita non ha vinto. Chi vincerà sarà il suo perdono, il suo amore, la promessa mantenuta di eternità e di resurrezione per tutti noi che ora, ancora una volta, con la preghiera e con il bacio del legno della croce, ci affidiamo a Lui per risorgere e vivere con Lui per sempre. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina 


 

Cari amici,

in questo anno abbiamo assistito a vari eventi calamitosi e tristi.

La guerra in tante altre parti del mondo e, vicino a noi, da più di un anno, la guerra in Ucraina. Esperienza tristissima alla quale non pensavamo di dover assistere in Europa dopo le immani tragedie delle due Guerre Mondiali.

Il devastante terremoto nella già tanto martoriata Siria e in Turchia.

Tanti disperati che, anche di recente, illudendosi di poter raggiungere terre di salvezza fuggendo da luoghi di guerra, fame, persecuzione, affidandosi a scafisti senza scrupoli, hanno perso la vita in mare.

Davanti a tali situazioni ci domandiamo “perché”?

Dove è il Dio della pace, della giustizia, della misericordia che anche stasera abbiamo pregato chiedendo il dono della pace per chi è vittima della guerra e – vorrei estendere il motivo della nostra preghiera – di ogni altro tipo di sofferenza, ingiustizia, violenza?

Guardando al nostro corteo che abbiamo appena terminato un osservatore superficiale direbbe: è morto!

Ma noi sappiamo che la processione di stasera non conclude i riti pasquali. Egli domani notte lo celebreremo risorto in tutta la comunità cristiana.

Se è morto è perché ha voluto dare un senso – che probabilmente noi comprendiamo appieno – a tutta la sofferenza che c’è nel mondo. Quella causata dalle nostre guerre grandi o piccole che siano, quella causata dalle catastrofi naturali che sempre ci sono state e sempre ci saranno, quella causata dallo sfruttamento di pochi su molti, dei ricchi sui poveri, del nord del pianeta sul sud del pianeta. Quella di chi soffre per malattie, per gli innocenti che non sappiamo dire perché soffrono e piangono. Quella di chi piange i propri cari che hanno cessato di vivere.

Sì, anche Gesù, il Figlio di Dio che poteva salvare tutti noi in un attimo, ha condiviso – Lui, il Giusto, il vero Giusto – tutta la nostra umanità e tranne il peccato anche la sofferenza e la morte.

È entrato nella morte, nelle nostre esperienze di morte quale conseguenza penultima del mistero dell’Incarnazione per assumere la nostra povera umanità e riorientarla verso il Padre, verso la Vita piena ed eterna che è la meta ultima. Dalla comunione con il Padre in cui rientra con la sua risurrezione e ascensione al Cielo invierà lo Spirito Santo, l’amore che c’è tra Lui e il Padre affinché chi riceverà questo amore perfetto possa divenire artefice di pace, di comunione, di misericordia, di vita.

Abbiamo pregato e preghiamo per la pace. Ma se Lui non avesse attraversato le nostre situazioni di non pace per redimerle noi faticheremmo invano per costruire la pace e trovare senso alle nostre sofferenze.

Lui anche quando soffriamo è con noi. Non è morto ma è vivo e risorto e ci indica come fare a ricostruire la pace perduta a causa dell’uso cattivo della nostra libertà, ci indica come continuare a sperare anche se nella sofferenza e nell’ingiustizia dalla quale Lui per primo è passato.

La risposta è credere che Lui non ci abbandona mai! Che Lui è con noi e per noi sempre.

E, profondamente solidale con noi, ci indica la via per costruire la pace e per vivere nel mondo anche tra le sue ingiustizie e sofferenze.

È la via dell’abbandono confidente al Padre che ci insegna a perdonare e non esigere la vendetta. È la via della testimonianza dell’amore che dalla croce di Gesù impariamo. È la via del darci da fare concretamente per essere segni dell’amore di Dio con la nostra carità. È la via della offerta delle nostre sofferenze insieme a quelle di Cristo per la salvezza del mondo intero.

Cari amici, abbiamo pregato per la pace nel mondo e nelle nostre famiglie, nei nostri cuori. Lasciamoci guardare ancora una volta dal Cristo che è morto per noi. Lasciamoci amare da Lui e con Lui diveniamo costruttori di pace, di amore, di solidarietà, di accoglienza verso tutti.

La preghiera non è un rito magico. Non basta chiedere e poi non impegnarci nel cambiare vita. Guardando a Colui che per risorgere è morto per noi anche noi impariamo ad amare come Lui fino a morire, morire a noi stessi affinché si realizzi un mondo di pace, di solidarietà, di gioia … immagine sfocata di quel giardino pasquale che sarà riempito dalla luce del Risorto.

Buona Pasqua a tutti!

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina