Omelia alle Esequie di Don Mario Renna

Tivoli, Parrocchia di San Biagio Vescovo e Martire, Venerdì 12 giugno 2020
2 Mac 12,43-46; Ps 142 (143); Rm 5,5-11; Lc 23,33.39-43

Con questa celebrazione esequiale si conclude il lungo cammino di vita terrena di Don Mario Renna.

Nato a Fragagnano, in provincia di Taranto, nel 1927, fu ordinato sacerdote il 2 luglio 1960. Diversi furono gli incarichi affidatigli e che lui svolse per lungo tempo anche in Francia e poi qui a Tivoli, in particolare quale Parroco di San Vincenzo in Sant’Andrea per diversi anni, e poi fino a quando, lasciata la parrocchia per raggiunti limiti di età, si ritirò a vita privata ma continuando – almeno alla domenica – ad andare a celebrare la Santa Messa nella piccola chiesa di Sant’Agnese.

Quello di Don Mario non è stato un cammino sacerdotale semplicissimo. Il suo carattere e la fragilità umana non sempre gli hanno consentito di essere ciò che anche lui avrebbe voluto. Proprio per questo siamo qui. Siamo qui per pregare per lui e per affidarlo alla Misericordia Divina della quale per il dono del sacerdozio ministeriale è stato dispensatore in particolare celebrando l’Eucaristia e il sacramento della confessione.

Siamo dunque intorno alla sua salma per esprimere vicinanza al fratello e in particolare ai suoi parrocchiani, amici e conoscenti che sono qui anche oggi. Ma soprattutto siamo in questa chiesa per celebrare per Don Mario l’Eucaristia con la speranza che anche per lui risuoni la parola di Gesù rivolta a chi insieme con Gesù morente, sulla croce, Lo ha riconosciuto Dio condannato alla stessa pena – loro la morte per le loro azioni, Lui, invece giusto – ma lo ha anche riconosciuto con timore Dio, il Dio al quale potersi rivolgere per il tanto amore che stava donando, supplicandolo: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” e con la consolante promessa che oggi supplichiamo per Don Mario: “In verità ti dico: oggi con me sarai nel paradiso!”.

Sì, proprio per questo siamo qui. Per suffragare l’anima di questo sacerdote e affidarla a Colui che è morto per noi mentre eravamo ancora peccatori – come ha ricordato San Paolo nella seconda lettura che ci è stata proclamata – e al quale dopo la Sua Pasqua, dopo la sua passione, morte e risurrezione, dopo la sua ascensione al Cielo e aver riversato nei nostri cuori il suo Santo Spirito, giustificandoci con il suo sangue, ci ha reso possibile la salvezza eterna, ci ha ottenuto per sempre – nonostante noi – la riconciliazione con Dio. Non morendo per chi è giusto o persona buona ma per noi mentre eravamo ancora peccatori affinché tutti possiamo avere speranza certa di salvezza.

Nella prima lettura tratta dal secondo libro dei Maccabei abbiamo ascoltato come Giuda Maccabeo, un condottiero che si batté per salvare il popolo eletto dal tentativo di Antioco Epifane e dai suoi uomini di ellennizzare Israele minando il monoteismo e tentando di introdurre il politeismo ossia l’adorazione a più déi, combatté con i suoi uomini contro Gorgia, un generale siriano che poi divenne Stratega dell’Idumea, che indusse alla fuga gli uomini di Giuda Maccabeo e uccise molti soldati di Israele. Giuda Maccabeo e i sopravvissuti dovettero ritirarsi in una piccola città vicina: Odollam e per il gran caldo furono costretti a seppellire subito i loro morti prima che i corpi si decomponessero. Ma mentre seppellivano quei soldati di Israele ci si accorse che sotto i loro abiti erano nascosti amuleti, oggetti votivi e preziosi offerti agli idoli e che i soldati avevano depredato combattendo nella città di Iamnia. Oggetti che agli Israeliti proprio perché popolo di Dio era vietato possedere non soltanto perché segno di idolatria ma anche perché segno di cupidigia. Nella cultura religiosa di quel tempo questo spiegò il motivo per cui morirono i soldati che stavano combattendo per difendere Israele e il monoteismo – ossia l’adorazione a un unico Dio –: perché sotto sotto, nonostante l’apparente zelo per Dio, avevano peccato.

E così il loro condottiero, Giuda Maccabeo, che credeva nella risurrezione e come fosse importante pregare per i morti, offrì al tempio di Gerusalemme un sacrificio di espiazione per i peccati. Raccolse dunque una grande somma – circa duemila dracme di argento – e le inviò perché fosse offerto un sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.

Ebbene è quanto facciamo anche noi oggi. Non c’è necessità di offerta alcuna perché ormai l’unico, vero e perfetto sacrificio è quello di Cristo morto e risorto per noi. Lui ormai ha sostituito per sempre i sacrifici di animali che si facevano al Tempio di Gerusalemme con il sacrificio di se stesso. E noi, ora, celebrando il memoriale di quell’unico e perfetto sacrificio che Don Mario tante volte ha celebrato per i defunti delle comunità che ha servito, preghiamo per Don Mario stesso affidandolo a quel Dio il cui Figlio, come ha affermato Sant’Agostino, nella sua vita ha dovuto scegliere di fronte ad una alternativa radicale: “l’amore di sé fino alla dimenticanza di Dio o l’amore di Dio fino alla dimenticanza di sé” e ha scelto la dimenticanza di sé, la croce e la morte per servire e darci la Sua vita in abbondanza, quella Vita eterna che noi supplichiamo e preghiamo per Don Mario che, come i soldati di Giuda Maccabeo, è morto con sentimenti di pietà sicuro che il Dio di Gesù Cristo in cui ha creduto non verrà mai meno verso di noi. E anche se avessimo fatto della nostra vita un’esistenza  d’inferno, Lui, il nostro Dio, varcherà l’abisso perché non ha paura dei nostri inferni. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina