Tivoli, Cattedrale di San Lorenzo Martire, Sabato 30 settembre 2023
“Sei certo che ne sia degno?”
Poco fa è risuonata ancora una volta nella nostra Cattedrale questa domanda che il Vescovo, quale successore del Collegio degli Apostoli, pone a chi ha curato la formazione del candidato all’ordinazione presbiterale e glielo ha presentato a nome della Chiesa.
A tale domanda, caro Diego, il tuo Rettore – che ringrazio insieme a tutta la comunità del Seminario di Anagni – ha risposto assicurandomi che da quanto ha potuto conoscere, apprendere, sapere dal popolo di Dio, sei degno di ricevere l’ordinazione presbiterale.
Ne siamo tutti felici ma vorrei soffermarmi su questo “Essere degno” di diventare prete.
Cari fratelli e sorelle, sicuramente il nostro Diego è un ottimo giovane, brillante, spigliato, simpatico, forgiato dalla vita che per lui non è stata sempre facile.
Nato a Tivoli 31 anni fa e poi vissuto sempre ad Agosta, a 16 anni rimase orfano – nel giro di un anno – sia della mamma Luisa che del papà Alessandro che stasera sicuramente sono presenti dal Cielo a questo momento di gioia del loro figlio. Insieme alla sorella più piccola, Giorgia, Diego è così cresciuto con nonna Antonia che con tanti sacrifici ha curato questi nipoti. Diego non è mai stato con le mani in mano: dopo le scuole superiori ha iniziato subito a lavorare, a dedicarsi agli altri nella Protezione Civile e a domandarsi cosa avrebbe fatto della sua vita fino all’incontro con la Parrocchia, con il suo Parroco Don Giuseppe Orlandi – che in questo momento sta offrendo sicuramente la sua sofferenza per Diego – l’incontro con la pastorale giovanile diocesana e alla scelta non facile di lasciare tutto, fidarsi della Provvidenza e prepararsi per diventare prete.
Il suo cammino in Seminario, nelle parrocchie di Agosta e Marcellina accompagnato dal suo Parroco Don Domenico e dalla comunità parrocchiale è stato buono e lineare. Potremmo dire dunque che questo basterebbe per affermare che Diego è degno di diventare prete.
Ma, caro Don Diego, cari fratelli e sorelle, tutto questo non basta ancora.
Qualcuno potrebbe dire: certamente. Don Diego dovrà continuare per essere degno del dono di grazia che oggi riceve, a proseguire nel cammino di formazione permanente del Clero, nell’approfondimento delle materie teologiche, spirituali, pastorali … che si affini sempre più dal punto di vista culturale per essere continuamente adeguato ai tempi nei quali svolgerà il suo ministero …
Tutto è vero … ma non basta!
Per essere degni di diventare sacerdoti occorrono alcune altre e indispensabili condizioni.
Degni non lo si è perché siamo bravi noi o perché soltanto ci sforziamo di esserlo ma perché:
- Siamo disposti a riconoscere e ad accettare le nostre debolezze, le nostre fragilità
per permettere che sia Dio e soltanto Lui che ci ha chiamati e ci chiama a guidarci nel servizio a Lui e al suo popolo fedele.
Nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, Gesù chiede all’Apostolo Pietro – che nonostante le sue professioni di fede nei confronti del Maestro (tante belle parole ogni volta disattese dalla sua povera umanità) lo aveva tradito rinnegandolo tre volte nella notte del processo – se lo ama? Se Simon Pietro cioè ami Gesù più degli altri discepoli con lo stesso amore con il quale Gesù ha amato noi accettando di morire per noi sulla croce. Ma Pietro gli sa soltanto rispondere “Signore tu sai che ti sono amico”, inizia a riconoscere che non è all’altezza di corrispondere alla pari all’amore di Gesù. Gesù per una seconda volta, tralasciando il “più di costoro” chiede ancora a Pietro se lo ami? Pietro ha superato il momento del tradimento ma non la sfiducia in se stesso che purtroppo gli è rimasta. E così Pietro continua a rispondere che vuole bene a Gesù, che gli è amico ma non se la sente di dirgli “Ti amo”. A quel punto Gesù, mostrandosi ancora una volta come il vero misericordioso, abbassa la pretesa. Non gli chiede più se lo ama ma gli chiede se gli è amico. Vuole renderlo sicuro per poter pascere, guidare, servire il Suo gregge, il popolo per cui è morto e risorto, facendo comprendere a Pietro che non sarà per la sua capacità di amare, per la sua bravura che potrà servire in nome di Dio i fratelli, ma perché ricordandosi della sua infedeltà, Pietro, pentito, dovrà sempre sapere che può essere amico di quel Dio che in maniera unica ama l’uomo, soltanto affidandosi al Suo amore che largamente perdona e ci costituisce Suoi apostoli, annunciatori della gioia del Vangelo.
Quando Pietro si arrende “Tu sai tutto, tu sai che ti sono amico, che ti voglio bene, che il mio amore non sarà mai alla pari del Tuo per me”, Gesù gli affida pecore e agnelli, il suo popolo da amare, guidare, servire.
Caro don Diego, il nostro essere “degni” deriva da qui. Dal riconoscere ogni giorno, con umiltà, che si può essere preti soltanto perché investiti dall’alto del Mistero della Pasqua, mistero che ci è consegnato non per conservarlo per noi ma per vivere in quella vera gioia che è diffusiva e che deve contagiare coloro con i quali verrai a contatto nella tua esistenza presbiterale.
Per essere degni dobbiamo riconoscere di essere vasi di creta – come ci ha ricordato l’Apostolo Paolo nella seconda lettura –. Vasi di creta che di per se stessi sono fragili, che si possono frantumare o possono “creparsi” al primo urto. – Quanti urti un prete subisce dalla vita … urti esterni ma anche urti interni a lui … – ma dalle crepe che possa sempre fuoriuscire e risplendere quella conoscenza della gloria di Dio rivelatasi sul volto di Cristo che hai incontrato, con la quale dovrai sempre lasciarti incontrare tramite la preghiera assidua e fedele, l’ascolto della Parola di Dio, la celebrazione dei Sacramenti a partire dall’Eucaristia quotidiana e dalla Penitenza – un sacramento non soltanto da amministrare ma al quale il prete deve accostarsi spesso perché senza l’esperienza continua di essere amati e perdonati dal Risorto, non possiamo essere testimoni liberi e gioiosi della salvezza che riempie di speranza il cuore dell’uomo ed annunciare nella verità il perdono e la misericordia di Dio –.
Come la creta poi lascia che quel vaso che sei tu si lasci continuamente plasmare da quell’ottimo vasaio che è Dio che continuerà a chiederti se gli vuoi bene, se gli sei amico nelle varie situazioni che incontrerai nella vita, nei rapporti con le varie persone che accosterai e che plasmeranno quel fragile vaso che siamo noi – che sei tu – secondo quella che è la volontà di Dio.
- Una seconda condizione perché tu “sia degno” è che tu non pensi di essere un supereroe, un prete che potrà agire da solo. Da oggi, in modo ancor più profondo rispetto a quanto avvenuto con il diaconato, sei inserito in un presbiterio riunito intorno al Vescovo.
Vedi, come Mosè, anche il Vescovo per traghettare verso la vita eterna il popolo che gli è affidato ha necessità di collaboratori. Anche il Vescovo ha necessità di “anziani” ossia di presbiteri che lo aiutino a guidare un popolo numeroso e che come il popolo che guidava Mosè tende continuamente a uscire dal cono di luce dell’obbedienza a Dio e a quanto Dio, tramite Mosè, indica ad esso per giungere alla terra della libertà, per passare dalla schiavitù al servizio di Dio che è vera libertà.
Caro Don Diego nel presbiterio occorre agire insieme!
Il sacerdozio non lo si può semplicemente scegliere come qualcosa che procura sicurezza, amicizia, protezione o come un espediente per farsi una propria vita personale. Non potrà mai essere esclusivamente una propria impresa o scelta. Il sacerdozio nessuno può darselo da sé ma sarà sempre e solo una risposta al volere di Dio e alla Sua chiamata.
E chiede quindi di uscire dalla nostra volontà per entrare in un’altra volontà. E questa volontà è la volontà di Dio che insieme, il presbiterio riunito intorno al Vescovo, è chiamato a realizzare.
Sii sempre unito al Vescovo e al tuo presbiterio che non è una comunità semplicemente umana ma di uomini scelti da Dio per guidare – o meglio, servire – insieme il popolo che dobbiamo aiutare a camminare dietro la croce di Cristo per giungere con Lui alla resurrezione.
- E infine, una terza condizione affinché tu sia degno di quanto oggi ti viene donato per sempre.
Sii disposto ogni giorno a uno svuotamento pieno di te stesso, a una kenosi come fu quella di Cristo che pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio ma spogliò se stesso fino alla morte e alla morte di croce.
Svuotati di te per essere sempre più pieno di Lui.
Le persone che oggi siamo chiamati ad evangelizzare hanno un fiuto profondo per comprendere se ci crediamo o se facciamo un mestiere, se siamo uomini di Dio o persone che “galleggiano” fingendo di essere uomini di Dio ma in realtà curando i loro affari. Le persone che oggi siamo chiamati ad evangelizzare sono figli e figlie di questo mondo ma che puoi evangelizzare se andrai a loro vuoto di te e pieno di Dio. Le potrai evangelizzare certamente con le tue caratteristiche umane ma non mondane. Evangelizzare cercando con tutti il dialogo empatico, ponendoti allo stesso livello di quanti incontrerai e non ponendoti al di sopra di loro in nome di un clericalismo nauseabondo e che allontana.
Avvicinandoti a loro, ma senza farti risucchiare dallo spirito del mondo, annuncia la Parola in ogni occasione – opportuna e non opportuna –, parti dal livello di coloro che incontrerai ricordandoti sempre che anche tu non sei degno di essere prete perché sei bravo ma perché sei amato e graziato da Dio. Con quanti incontrerai cammina con pazienza fino a portarli non a te – pur necessaria mediazione umana di cui Dio si serve – ma a Dio, alla patria eterna, alla vita vera!
Dunque, in conclusione: sarai degno di quanto stai per ricevere da Dio tramite il ministero del Vescovo?
Con fiducia diciamo “sì”. Sì se sarai continuamente aperto all’azione dello Spirito, sì se rifuggendo dalla furbizia umana e dalla tentazione di vivere una vita tranquilla, casalinga, di stare a galla … vivrai in una tensione continua – e che riempie di gioia – tra la consapevolezza della tua pochezza e la disponibilità a ricevere continuamente, quale discepolo-missionario, i doni che ora attraverso l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria lo Spirito Santo effonde su di te per il servizio totale – 24 ore su 24 – non tanto a una istituzione ma alla Chiesa comunità dei battezzati, ai tanti che ancora non sanno di esserlo o non lo sono mai stati e attendono da te, mio collaboratore e nuovo membro del nostro presbiterio, una mediazione umana bella, gioiosa, umile e comunionale per arrivare a Lui: l’unico che riempie la vita e la sazia dei suoi beni!
Permettete ancora una parola ai giovani qui presenti.
Voi stasera vedete Diego felice.
Non abbiate paura, se sentite la chiamata al sacerdozio, di farvi avanti!
Sul prete ormai ci sono tanti pregiudizi, non si comprendono le sue fragilità. In un mondo dove la fragilità umana è esaltata, solo il prete non può mai sbagliare e al primo errore partono critiche su critiche, calunnie, attacchi …
Certo, anche il prete è un uomo. Ha grandi responsabilità ma rimane uomo. Un uomo che poiché è fragile ma “chiamato” è pronto per essere vaso di creta che lascia trasparire l’amore di Dio per lui e così sperimentare la gioia della Misericordia divina su di Lui, di diffondere questa gioia e sentire ancor più l’amore di Dio per Lui. Di Dio che ama chi dona con gioia.
Se pertanto sentite la chiamata non esitate! Se non vi sentite pienamente “degni” secondo il modo di sentire degli uomini (degno e soltanto il Signore! …) non esitate a mettervi alla sua sequela per la via del sacerdozio: è la via della gioia, della gioia vera, è la via di una felicità che il mondo non può dare ma che solo Dio dona. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina