Tivoli, Cattedrale di San Lorenzo Martire, Domenica 24 marzo 2024
Carissimi fratelli e sorelle,
con questa celebrazione entriamo nella Settimana Santa, la Settimana più importante dell’anno liturgico, una Settimana da vivere intensamente ma non per “guardare dall’esterno” ciò che ricorderemo, celebreremo, ciò che sarà narrato dai bellissimi vangeli, tramite i suggestivi riti … ma da vivere oserei dire “dall’interno” ossia lasciandoci coinvolgere da quanto celebreremo ossia l’amore di Dio che in Cristo ci ama fino a dare la vita sulla croce per noi, fino a morire per poi risorgere per sempre ed assicurare per tutti il perdono dei peccati e la vita eterna dopo la morte.
Abbiamo iniziato in un clima festoso. Abbiamo iniziato con la benedizione dei rami di ulivo o di palma che sventoliamo al grido dell’Osanna! Come i fanciulli ebrei che accolsero Gesù a Gerusalemme abbiamo iniziato anche noi questa Settimana imitando le folle di Gerusalemme che accolsero Gesù che andava in quella Città Santa. Egli fu accolto come Messia, tutti pensavano che stava arrivando colui che, capace di fare i miracoli, di guarire gli uomini, di opporsi ai malvagi, si sarebbe messo a capo degli ebrei e avrebbe sconfitto il potere romano che invadeva Gerusalemme.
Viene dunque accolto con spirito di festa. Come un eroe ai cui piedi si stendono rami e tappeti, i propri mantelli, ossia viene accolto come un re glorioso.
Ma fin da subito appare qualcosa di strano: Gesù entra a Gerusalemme con abiti umili, su una cavalcatura umile: su un asinello – anche Isacco era stato caricato su un asinello con la legna per essere offerto a Dio e poi fu salvato mentre Abramo lo stava per offrire –, viene alla sua gente, a noi, con mansuetudine. Sant’Andrea di Creta dice che entra nell’ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e condurci a sé.
È giusto dunque accoglierlo con rami frondosi ai suoi piedi, mettendo i nostri mantelli, ossia i segni delle nostre personalità, ai piedi di Gesù. Ma ancor più mettere le nostre vite ai suoi piedi come tuniche distese perché la potenza del suo amore e della sua grazia che manifesterà a Gerusalemme ci riempia di essa e noi possiamo vivere con Lui, come Lui e per Lui.
L’entrata umile di Gesù a Gerusalemme, non convince quanti si attendevano un Gesù potente, forte, un liberatore politico e così se all’inizio viene accolto tra gli Osanna, tra acclamazioni e feste, presto sarà tradito, lasciato solo, abbandonato, accusato di dirsi figlio di Dio – e quindi di essere un bestemmiatore –, messo a morte!
Davanti all’attesa della gente di celebrare la vittoria sui romani con la spada, Gesù viene a celebrare la vittoria di Dio con la croce. E coloro che lo avevano osannato all’arrivo a Gerusalemme dopo pochi giorni grideranno “crocifiggilo!”.
Perché? Perché seguivano più una immagine di Messia che non il Messia.
Ammiravano Gesù ma non erano pronti a lasciarsi stupire da Lui.
Da quello stupore che è diverso dalla ammirazione.
L’ammirazione ricerca infatti i propri gusti e le proprie attese in colui che si ammira.
Lo stupore, invece, rimane aperto all’altro, alla sua novità.
Vedete, anche oggi ci sono tante persone che parlano bene di Gesù, lo ammirano perché ha parlato bene, ha amato, ha perdonato, ha cambiato la storia … Lo ammirano ma la loro vita non cambia.
Cosa voglio dire? Che non basta ammirare Gesù ma bisogna seguirlo e passare dall’ammirazione allo stupore.
E cosa stupisce maggiormente di Gesù? Che per giungere alla gloria passa per l’umiliazione, lo svuotamento di sé, la passione, la sofferenza, la morte infamante della croce.
Per giungere alla gloria aveva tanti mezzi e invece “svuotò se stesso … umiliò se stesso!” (Fil 2).
Il racconto della Passione che abbiamo ascoltato e che si è concluso con la morte in croce ci fa domandare come si domandarono chi lo vedeva su un trono che non era altro che la croce: “Ehi, tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni – così aveva detto –, salva te stesso scendendo dalla croce!”. E in tono beffardo i capi dei sacerdoti e gli scribi: “Ha salvato altri e non può salvare se stesso! Il Cristo, il re di Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo!”. Ossia la passione e morte in croce ci induce a domandarci: ma perché Signore ti sei lasciato trattare così?
La risposta la troviamo nel dire che ha voluto toccare fino in fondo la nostra realtà umana, per essere solidale con noi in tutto, attraversare tutta la nostra povertà, tutta la nostra esistenza, tutto il nostro male, per non lasciarci soli nel momento del dolore, dell’abbandono, della calunnia, della morte … È entrato fino in fondo alla nostra esperienza di uomini e donne fragilissimi per recuperarci e salvarci.
Gesù sale sulla croce per scendere nella nostra miseria, nella nostra sofferenza. Prova tutti i nostri stati d’animo peggiori; nella sua carne prova tutte le nostre sofferenze più atroci e così le redime, le trasforma.
Gesù nell’esperienza della sua passione e morte ci ama di un amore folle, un amore che non tiene nulla per sé ma che condivide tutto con noi. Lui era venuto dal Padre, si era incarnato per condividere tutto di noi per riportarci a Dio dopo il peccato di Adamo ed Eva. Ora giunge a condividere quelle fragilità che ci fanno vergognare maggiormente. Non cade nel peccato ma giunge fino al limite del burrone del peccato. Muore e condivide con noi questa esperienza terribile che attende tutti. Morto scende agli inferi, va a recuperare i peccatori come il buon pastore che scende nel burrone per recuperare la pecora perduta. E ci assicura, sì, così ci assicura che non siamo e non saremo più soli. In ogni paura, fragilità, ferita: Lui è e sarà sempre con noi perché ci ama. E non dovremo aver più paura di nessun male, di nessun peccato perché Dio ha sempre l’ultima parola, Lui, tramite la sua croce ottiene la palma della vittoria sul peccato e sulla morte.
Stamane mettiamoci, cuore a cuore, davanti alla croce di Gesù.
Accanto alla croce oggi abbiamo messo le palme perché la gloria che Gesù viene a trovare a Gerusalemme si trova nella croce e attraverso la croce.
Davanti alla croce poniamoci con tutta la nostra povertà, con la nostra fragilità, e lasciamoci stupire dall’amore di Cristo che ci perdona e ci fa ricominciare.
Nel Vangelo ci è stato narrato come Gesù ha dato a noi il pane di vita nell’Eucaristia, ossia ci ha dato il segno sacramentale della sua presenza tra noi che anche tra poco riceveremo; ci dà la sua Parola, ci mostra come considera tutti amici perdonandoli anche quando non meriterebbero, morendo per tutti ci fa scoprire che siamo tutti amati da Dio e che valiamo molto per Lui!
Noi facciamo spesso l’esperienza di ricevere Lui nell’Eucaristia, il suo amore nel sacramento della Penitenza (questo forse, purtroppo, un po’ meno di quanto ne avremmo necessità), ascoltiamo spesso la sua Parola, ma la nostra fede – forse un po’ abitudinaria – non si lascia stupire, non si lascia coinvolgere più di tanto nel mistero di amore che si compie sulla croce.
Davanti all’amore che Gesù ci mostra sulla croce dovremmo commuoverci e invece spesso restiamo indifferenti.
Cari amici, apriamoci oggi e in questa Settimana, a quanto lo Spirito Santo vorrà dirci. Stupiamoci davanti all’amore del crocifisso. Lasciamo che il Suo grande amore per noi ci stupisca, ci meravigli per scoprirci amati. Eternamente, follemente amati da Lui.
Lo sappiamo dalle esperienze della vita: perché un uomo riesca deve aver ricevuto amore. E deve sentire che c’è qualcuno che lo ama. Ebbene, noi abbiamo niente di meno che il Figlio di Dio, vero uomo e vero Dio, che si è fatto solidale con noi e ci ama accettando, Lui, l’Onnipotente, l’umiliazione e la croce.
Il Centurione, ai piedi della croce, fu il primo a stupirsi e insegna anche a noi. Davanti alla morte di Gesù sulla croce, davanti al suo modo di morire, esclama: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!”.
Aver visto Gesù morire amando, morire perdonando, morire per amore lo ha stupito e lo ha convinto molto più di quanti, prima di lui, avevano visto i miracoli di Gesù, lo avevano ascoltato … Il Centurione ci dice di non fermarci ad ammirare Gesù dall’esterno ma lasciando che questo amore pervada il nostro cuore. Anche noi, con il Centurione, guardiamo in questa settimana a Cristo e ripetiamo: “Tu sei davvero il Figlio di Dio. Tu sei il mio Dio!”.
Che il Signore ci aiuti a guardarlo e accoglierlo e a saperlo guardare anche nei tanti poveri, nei tanti crocifissi dalla vita, che incontriamo e nei quali a Lui è piaciuto identificarsi. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina