Omelia in occasione dell’Ordinazione Presbiterale di Don José Manuel Tabilo Carrasco

Palestrina, Basilica Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Venerdì 31 luglio 2020

Carissimi fratelli e sorelle,

in questo giorno, memoria liturgica di Sant’Ignazio di Loyola, la nostra Chiesa diocesana riceve il dono di un nuovo presbitero nella persona del diacono Josè Manuel Tabilo Carrasco.

È un dono che riguarda tutti poiché attraverso l’ordinazione sacerdotale don Josè non riceve qualcosa soltanto per lui ma per tutti. Come Geremia anche don Josè Manuel, conosciuto e amato dal Signore, viene chiamato, consacrato – ossia separato dagli uomini per Dio – ma perché con le parole di Dio sulla bocca e nel cuore, con i fatti, senza alcuna paura poiché consapevole che Colui che lo ha scelto fin dal seno di sua madre è con lui per proteggerlo, possa andare con fiducia a tutti coloro ai quali Dio, tramite il ministero del Vescovo e il mistero della vita che ci porta spesso ad incontrare persone e situazioni impensate, lo manderà per dire a tutti quanto Dio stesso gli ordinerà. E ben sappiamo che Dio non può che ordinare di annunciare ciò che di buono, di bello, di giusto e di santo l’uomo di ogni tempo e di ogni dove ha estrema necessità. In una parola: Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che uno con il Padre e con lo Spirito Santo ci chiama alla vita piena, ci assicura il senso in questa esistenza, il perdono dei peccati, la gioia anche nelle difficoltà e la vita eterna dopo la morte.

Mentre accogliamo insieme, con gratitudine, questo dono per le nostre Chiese e per tutta la Chiesa vorrei ora rivolgermi in particolare a te, caro Don Josè.

Come data per la tua ordinazione hai scelto quella di Sant’Ignazio di Loyola. Un santo vissuto circa cinquecento anni or sono ma ancora attualissimo e al quale ti invito ad ispirare il tuo ministero sacerdotale.

Era innanzitutto un uomo che ha cercato e poi attraverso l’opera degli Esercizi Spirituali ha insegnato a cercare e trovare per quale fine l’uomo abbia ricevuto l’esistenza, perché l’uomo abbia ricevuto la vita – questa vita, non un’altra …, con i suoi pregi e difetti, con le sue potenzialità e fragilità – dal Creatore. Che ha insegnato agli uomini a tenere come aperta, distesa davanti ai propri occhi la vita cercando di scorrerla spesso pensando ad essa intensamente per vedere le cose buone ma anche le proprie deviazioni che, aderendo consapevolmente o inconsapevolmente ai moti ingannevoli dell’anima, egli stesso avrà fatto subire anno dopo anno al proprio destino. Invitando poi continuamente il medesimo uomo a cambiare, a rinnovarsi, a mutare. Non pensando mai che la colpa per i propri demeriti e peccati sia di uno o dell’altro pretendendo dunque che siano loro a convertirsi, ma accettando di cambiare lui stesso. E tale cambiamento, però, non da solo. Non riusciremmo mai, da soli a cambiare noi stessi … Occorre piuttosto lasciarci aiutare dagli altri, dal loro esempio e dalla loro testimonianza positiva rifiutando di seguire le testimonianze negative e che fanno regredire. E dato che tutti gli uomini, anche i migliori, sono fragili e fallibili, che nessuna situazione umana è perfetta, solo Uno è affidabile, è da seguire: l’uomo in cui la natura umana ha trovato la sua espressione più alta. L’uomo-Dio, Gesù di Nazaret. Che è perfetto amore e perfetta misericordia proposta alla nostra libera scelta.

San Paolo scrivendo ai Corinti questa sera te lo ha ripetuto come lo ripete a tutti noi carissimo Don Josè Manuel – preti o laici poco importa … purché viviamo da autentici cristiani –. L’Apostolo scrive di far tutto ciò che facciamo non per la nostra gloria ma per la gloria di Dio. E poi ci invita a farci suoi imitatori, come lui lo è di Cristo!

Caro Don Josè Manuel in questa sera il tuo Vescovo potrebbe suggerirti tante cose da fare: la Messa quotidiana, la frequentazione assidua al sacramento della confessione e del confessionale per ricevere e distribuire a piene mani la Misericordia di Dio di cui fai una esperienza particolare stasera e nella vita che ti attende. Potrei ancora raccomandarti l’ascolto attento delle persone, la carità generosa e verso tutti, a partire dai più poveri, la preghiera assidua e fedele per te e per la Chiesa, lo zelo per le anime che ti saranno affidate, l’obbedienza al tuo Vescovo, le relazioni buone con i membri del tuo presbiterio anche se ciascuno di noi porta in sé doni e povertà … Ma tutte queste cose si riassumono nella parola dell’Apostolo Paolo: “Fatevi miei imitatori!”.

E per essere un buon imitatore di Gesù non occorre scimmiottarlo, assumere atteggiamenti clericali, interessarsi alle cose di Chiesa che leggiamo sui giornali e così via … ma ben di più: occorre – come ci ha ricordato il Vangelo – “odiare padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle e perfino la propria vita …”. La versione della CEI che ci è proposta è un po’ più edulcorata. Dice che alla folla numerosa che andava con Gesù il quale era ormai diretto decisamente verso Gerusalemme per compiere il suo Mistero Pasquale Egli propone questo programma di vita: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, ecc. … e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”. Ma la autentica traduzione sia dal greco che in latino è assai più cruda … parla di “odiare”. Ma come è possibile – viene da chiedersi – accogliere un comandamento simile? Come è possibile rompere con le nostre origini, con gli affetti più cari, con i vari territori noti e sicuri della nostra vita? Cosa ci resterebbe? Troncati tutti i legami affettivi, saremmo assolutamente soli. Forse è questa la condizione richiesta per essere discepoli di Gesù: non avere paura della solitudine. Del resto anche le altre esortazioni possono essere intese in questo senso: “Colui che non porta la propria croce e non viene dietro me, non può essere mio discepolo (…) chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”. La croce è “la propria croce”, non condivisibile con altri: è la nostra stessa solitudine. E così i beni che dobbiamo lasciare sono tutto ciò che ci anestetizzano: è il pieno con cui cerchiamo di non sentire la paura, l’orrore per il vuoto. Quante scelte nella nostra vita, cari fedeli, e anche nella nostra vita cari confratelli sacerdoti e caro Don Josè Manuel sono state o sono condizionate dalla paura di non rimanere soli?

Per essere autentici discepoli di Gesù – e qui comprendiamo anche il significato profondo del sacro celibato – non è dunque solo necessario metterlo al primo posto, ossia non anteporre nulla all’amore per Lui; occorre sopportare qualsiasi tratto di strada da percorrere eventualmente da soli. Se infatti un altro, anche se fosse la nostra famiglia, fosse il nostro sostegno affettivo, cosa accadrebbe qualora quel sostegno venisse meno, se non il crollo rovinoso dell’intera costruzione? Al contrario, nella misura in cui i cristiani e in particolare il prete pongono come unico fondamento della propria vita Cristo, allora potranno diventare sostegno per gli altri. Paradossalmente, proprio quell’odio è la condizione per evitare qualunque divisione o separazione, per affrontare qualunque guerra senza soccombere.

Caro Don Josè Manuel questa sera, dimenticando il passato, le pagine a volte anche difficili del tuo cammino verso il sacerdozio ministeriale, rinnova fermamente il proposito di avere solo Lui come unico riferimento, appoggio, sostegno della tua vita. E se dovrai imitare qualcuno – come l’Apostolo Paolo invitava a fare rivolgendosi ai cristiani di Corinto – scegli sempre chi sia un autentico e forte imitatore di Cristo, che come Ignazio sappia continuamente “esaminare la propria coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente e altre operazioni spirituali. – Sappia cioè esercitarsi – in tutti i modi di disporre l’anima a liberarsi di tutti gli affetti disordinati e, una volta eliminati, a cercare e trovare la volontà divina nell’organizzazione della propria vita per la salvezza dell’anima” (cfr Esercizi Spirituali, prima osservazione introduttiva).

Infine ti auguro di essere sempre uomo di discernimento. Per te e di aiuto agli altri per discernere ciò che è buono, giusto e perfetto. Nel Vangelo abbiamo ascoltato come Gesù esorti chi vuol costruire una torre a sedersi, calcolarne la spesa, valutare se ha a disposizione i mezzi per portarla a compimento. O come ricordi che ogni re prima di partire per una guerra deve sedersi ed esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila. Come Ignazio anche tu, seguendo questo suggerimento evangelico, non cercare mai Dio nel ministero che ti attende con l’immaginazione o la sensibilità, ma cercalo e trovalo concretamente cercando di porti in tutte le circostanze che vivrai la domanda fondamentale: quale è qui, in questa circostanza, in questo tempo e luogo, la volontà di Dio? Anche tu vivi e insegna a cercare sempre la volontà di Dio attraverso la pratica del discernimento – oggi più che mai necessaria davanti a persone delle più disparate culture e modi di vivere anche se poi tutti si dicono cristiani … –. Compi e insegna sempre a compiere la volontà di Dio in tutte le azioni che vivrai e che insegnerai a vivere. Ignazio confidava di poter trovare la volontà di Dio attraverso la preghiera, nelle consolazioni e desolazioni dello Spirito. Quando si trattava di decisioni importanti vi rifletteva per settimane intere, pregava, celebrava Messe per scoprire la volontà di Dio e così la sua ricerca di Dio e il suo vivere con Dio furono molto concreti. Negli Esercizi Spirituali chiamò infatti anche coloro che li leggono oggi non soltanto a guardare la propria esistenza ma ai misteri di Gesù affinché tutti coloro che lo faranno vengano illuminati circa la volontà di Dio per loro.

Caro Don Josè Manuel, nella tua vita che oggi inizia non sentirti mai un arrivato ma cerca sempre concretamente Dio e nell’essere compagno di Gesù come lui lo trovò anche tu e tutti noi potremo trovarlo. Unico presbiterio, unica Chiesa di Dio, camminiamo insieme per questa strada. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina