Omelia nel 351° anniversario della Dedicazione della Basilica Cattedrale di San Lorenzo

Tivoli, Basilica Cattedrale di San Lorenzo Martire, Martedì 27 ottobre 2020

Carissimi sacerdoti, fratelli e sorelle nel Signore!

Celebriamo stasera il 351° anniversario della dedicazione a Dio della nostra Cattedrale mentre, per concessione della Penitenzieria Apostolica, prolunghiamo questo anno giubilare della Cattedrale – iniziato lo scorso 27 ottobre – fino al prossimo 27 ottobre 2021 poiché ad oggi, a causa della pandemia, non lo abbiamo potuto celebrare come avremmo desiderato. Rimane in noi così la speranza di poterlo vivere appieno almeno dalla prossima primavera.

In questa serata poi benediciamo la croce che d’ora in poi, come dovrebbe essere in ogni chiesa, dominerà sull’altare della nostra Cattedrale.

In questa Santa Messa ci è stato proclamato il Vangelo di Zaccheo e da questo Vangelo vorrei che fossimo stasera illuminati per comprendere il significato della Cattedrale e a cosa ci richiama la Solennità della sua dedicazione.

Gesù è in cammino verso Gerusalemme dove va per compiere la sua Pasqua, dove va a patire, morire e risorgere per ciascun uomo e donna che vivono, sono vissuti e vivranno su questa terra fino alla fine dei tempi.

Mentre va verso Gerusalemme entra nella città di Gerico, città che lungo il cammino verso Gerusalemme si trova nel punto più basso rispetto al livello del mare. Il mare, nella Bibbia, è il simbolo del male, del peccato … ebbene Gerico è addirittura sotto il livello del mare … è la città della massima lontananza da Dio! Lì Gesù si ferma.

Di Gerico si parla anche nell’Antico Testamento, nel Libro di Giosuè. Si racconta la conquista di questa città da parte dell’arca dell’alleanza – ossia dell’arca della presenza di Dio, dell’arca che conteneva le tavole della Legge – portata in processione dai sacerdoti che suonano le trombe e al solo suono delle trombe e al grido di guerra le mura di Gerico crollarono su se stesse. L’entrata in Gerico fu quindi un trionfo e l’inizio della presa di possesso della terra promessa da parte del popolo di Israele.

L’unica scampata in quella città fu Raab, la prostituta.

Ora, anche Gesù, entra in Gerico mentre non va a conquistare la terra di Israele ma a Gerusalemme per liberare il suo popolo – noi che oggi siamo la Sua Chiesa – dal peccato e dalla morte per sempre attraverso il Mistero della sua Pasqua.

E anche Gesù, entrando in Gerico, trova un peccatore, il peggiore tra i peccatori: non una prostituta ma stavolta un pubblicano e ricco: Zaccheo!

Un peccatore che il Vangelo ci definisce piccolo di statura fisica ma anche morale. Un ebreo che riscuoteva le tasse per i Romani, che in tal modo si era come “auto-isolato” anche dai suoi concittadini. Inoltre era ricco. Probabilmente di una ricchezza fatta di ruberie, frodi …

Ebbene Gesù entra in Gerico e questa volta ad essere salvato è Zaccheo!

Con Gesù “il sole che sorge dall’alto” e che viene a illuminare la terra, la luce entra per dissipare le tenebre dell’uomo di sempre immerso nel buio del peccato e della morte.

Zaccheo cerca di vedere Gesù. Sfida ogni barriera, sale su un albero per andare oltre la barriera che gli infrappongono gli uomini con i loro pregiudizi e condizionamenti, e così incontra lo sguardo di Gesù che, mentre passa, si innalza e lo vede e lo invita a scendere da quell’albero perché deve entrare in casa sua! Deve entrare nella vita di Zaccheo per portarvi la salvezza, quella salvezza che Gesù recherà salendo su un altro albero: l’albero della Croce! Quell’albero glorioso al quale ci richiamerà continuamente la croce che tra poco benediremo.

E Gesù entra nella casa di Zaccheo che “pieno di gioia” lo accoglie e cambia la vita. “Alzatosi”, ossia da morto che era per il suo peccato, si alza in piedi come un salvato, un risorto, un vivente … e cambia vita: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”. E in tal modo la salvezza entra in Zaccheo così come può entrare in ciascuno di noi se permettiamo a Gesù con la preghiera, l’ascolto della sua Parola, i sacramenti – primi tra tutti l’Eucaristia e la Confessione –, di entrare nella nostra esistenza, nella nostra casa!

Lasciarlo entrare nella nostra casa! Nell’originale greco “entrare in casa” sarebbe meglio tradurlo con “entrare a riposare” ossia a “sciogliersi la cintura”, le vesti … e ci richiama all’intimità della casa dove uno può stare a proprio agio. E questa stanza, questo alloggio entro cui entrando si sta a proprio agio – in ebraico katályma – lo troviamo citato nel Vangelo di Luca sia all’inizio del Vangelo quando si dice che per Gesù neonato non si trovò per lui posto nell’alloggio, che alla fine, quando Gesù manda i suoi a domandare dove sia il katályma, ossia la stanza in cui possa mangiare la Pasqua con i suoi discepoli, ossia per stare a proprio agio, spogliarsi della sua divinità pur rimanendo Dio per consegnarsi nelle mani degli uomini, profetizzare con il dono del pane e del vino ciò che si realizzerà sulla croce il giorno seguente quando donerà realmente il suo corpo e il suo sangue per noi sulla croce assicurando a tutti il perdono dei peccati e la possibilità di entrare in quell’intimità perfetta ed eterna che è data a noi con la passione, morte e risurrezione del Signore.

Ebbene la chiesa, la Cattedrale con al centro la croce, a cos’altro rimanda se non alla Gerusalemme del Cielo dove la nostra piccolezza, la nostra povertà si incontra in intimità con Dio che in Cristo ha trovato in noi il luogo su cui adagiarsi, la sala al piano superiore nella quale mangiare la sua Pasqua entrando così nelle nostre tenebre, nel punto che in noi è il più lontano da Dio, facendosi pane e offrendosi per noi affinché anche noi – come Zaccheo – impariamo a metterci nelle Sue mani con una confidenza infinita e cambiando vita condividiamo con tutti ciò che abbiamo e siamo?

Questo è il mistero della Cattedrale che celebriamo e che ogni anno la Chiesa celebra. Non tanto uno spazio più o meno bello che è stato riservato per il culto a Dio ma un edificio che ci rappresenta, fatto di pietre vive – che siamo noi –, poveri peccatori desiderosi di salvezza, cercatori di senso per vivere, di amore … entro le cui esistenze Gesù entra in intimità, si adagia, si comunica con confidenza, ci fa sperimentare la potenza misericordiosa della sua croce e ci fa ripartire pieni di gioia, convertiti, cambiati per annunciare a tutti come Lui abbia agito in noi, nuovo popolo di Dio in cammino verso la Gerusalemme del Cielo. Quella Gerusalemme celeste che le chiese con le loro opere d’arte, con la loro bellezza desiderano debolmente richiamare a noi che davanti alla bellezza opera delle mani dell’uomo ci stupiamo, rimaniamo ammirati, felici, grati …

Cari fratelli e sorelle che questa Solennità ci aiuti dunque a vedere questa casa di Dio tra le nostre case come segno del desiderio di Dio di stare con noi, tra noi, in noi. Come Zaccheo accogliamolo e insieme, attraverso ogni modo possibile – dall’ascolto delle persone, dalla loro accoglienza, dall’attenzione verso ciascuna di loro, fino all’annuncio esplicito del Vangelo – restituiamo a tutti quell’esperienza di intimità amorosa con Dio che in questo luogo ogni cristiano può fare, che nel rapporto con il Cristo donato per noi sulla croce possiamo fare e far sperimentare a tutti coloro che incontriamo passando per le tante Gerico della nostra strada. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina