Omelia nella Commemorazione di tutti i fedeli defunti

Tivoli, Basilica Cattedrale di San Lorenzo Martire, Mercoledì 2 novembre 2022 III formulario

Carissimi fratelli e sorelle,

con la Chiesa commemoriamo oggi tutti i fedeli defunti.

È un giorno, quello odierno, che ci ha chiamato e ci chiama a pregare per loro e a riflettere sulla morte che è una meta che tutti attende anche se non ci vogliamo pensare, anche se spesso crediamo che la morte sia sempre e solo quella degli altri. Eppure la vita scorre per tutti e la morte arriverà.

Per chi non crede nella vita eterna, nella vita dopo la morte che Gesù con la sua Risurrezione ci ha conquistato, la prospettiva è sicuramente triste. Uno potrebbe chiedersi: che senso ha allora vivere, soffrire, impegnarci tanto in questa vita per noi, per i figli, i nipoti, per la società, per la Chiesa, nel lavoro se poi la nostra fine sarà il nulla?

Ma noi crediamo che non sarà così, oggi desideriamo riaffermare per noi e per i nostri defunti con i quali siamo in comunione per il mistero della comunione dei santi, che ci attende la Vita eterna. Noi vogliamo affermare che abbiamo una speranza certa ossia che la morte non sarà l’ultima parola della nostra vita ma la penultima perché l’ultima sarà “vita eterna”, “vita con Dio e con i fratelli e le sorelle in una comunione perfetta per sempre”, che l’ultima parola sarà “Paradiso”! E questa speranza certa non è una nostra suggestione autoconsolatoria ma ci è stata assicurata da Gesù morto e risorto per noi, che ci ripete che gli siamo stati affidati dal Padre e non vuole che nulla vada perduto di quanto il Padre gli ha affidato ma che tutti risorgano nell’ultimo giorno.

E se è così, se camminiamo nella speranza dell’eternità beata, comprendete che ogni passo che compiamo nella vita non può essere banale, lasciato al caso ma orientato alla vita eterna. E la nostra vita deve muoversi come quando da una barca si getta l’ancora sulla riva e poi ci avviciniamo progressivamente ad essa tirando la corda. È una immagine usata da Benedetto XVI e anche da Papa Francesco: ci attende una meta eterna e lì è buttata, solida, l’ancora della nostra speranza. E nella vita noi siamo come i marinai che tirando la corda progressivamente si avvicinano alla terra della salvezza, alla meta della loro speranza. Una terra che forse nemmeno si vede ma alla quale, a ogni tiro di corda, ci avviciniamo e ogni tiro di corda possiamo paragonarlo a un passo, a una scelta, a un giorno o un tempo della nostra vita terrena che si muove nella speranza certa – poiché Cristo risorto ce lo ha assicurato – dell’eternità.

Ed in questo cammino, in questo tirare la corda verso l’eternità comprendete allora che nulla è banale, tutto – dobbiamo esserne consapevoli – diviene carico di responsabilità.

Certo, sappiamo che siamo in mani ottime: “Le anime dei giusti – abbiamo ascoltato nella prima lettura – sono nelle mani di Dio” e sappiamo che le sue mani sono mani piagate dall’amore, trafitte per amore sulla croce. Sono mani che amano e che non desiderano abbandonare nessuno, che ci abbracciano già ora e ci abbracceranno in eterno in quella dimora eterna descritta nella seconda lettura tratta dal Libro dell’Apocalisse. Dove gli elementi negativi della vita saranno scomparsi, il male non ci sarà più, ci sarà una nuova Gerusalemme del Cielo dove Dio porrà la sua tenda, una dimora non chiusa ma aperta affinché Lui possa essere in mezzo a tutti e tutti possano essere in contatto diretto con Lui. Dove la sua presenza divina sarà “trasparente”, completamente percettibile, uno stare a tu per tu con Dio, in un clima di familiarità e amicizia. Dove sarà escluso ogni tipo di male e come abbiamo ascoltato sempre nella seconda lettura “Io sarò – dice il Risorto – il suo Dio” ossia ci sarà come una partecipazione di chi abiterà la Gerusalemme del Cielo all’essere Figlio di Dio del Risorto che verrà partecipato a tutti, verrà condiviso con tutti affinché tutti diveniamo una cosa sola con Dio così come eravamo da sempre pensati da Lui fin dal momento della creazione del mondo.

Siamo dunque in cammino verso questa tenda aperta della comunione perfetta con Dio che si comunica a noi nell’amore, nella sua eterna pienezza di vita che l’Apocalisse paragona a una festa meravigliosa dove non ci sarà più pianto: “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate”.

È dunque la prospettiva che ci aspetta una prospettiva meravigliosa, che dobbiamo ricordarci maggiormente e che dobbiamo sempre tenere presente nel cammino della vita. San Francesco esprimeva così questo concetto parlando ai suoi frati: “Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto” perché ogni difficoltà della vita è ridimensionata, diventa anzi occasione di progresso se tutto è orientato all’eternità beata con il Dio dell’immortalità eterna.

Ma occorre prepararci per entrare in questa Festa che le mani amorevoli di Dio ci hanno preparato.

E come ci si prepara?

Il Vangelo delle Beatitudini che abbiamo ascoltato è chiarissimo e ci indica con chiarezza come ci si prepara. Entreranno alla festa i poveri in spirito, cioè coloro che non si sono lasciati sedurre dalle false ricchezze e dalle false sicurezze del mondo, ma hanno puntato ad accumulare l’unica vera ricchezza che rimane e che è la carità, il dono di se stessi, le opere di misericordia, i gesti di perdono che ci sintonizzano con i sentimenti di Dio. Insieme alle Beatitudini potremmo ricordarci anche del famoso brano di Matteo 25 dove si dice che chi sarà collocato alla destra del Signore nell’eternità saranno coloro che hanno usato carità verso ogni tipo di povertà perché tramite quei gesti di amore verso i fratelli hanno amato e servito Cristo stesso, forse senza nemmeno saperlo …

Ed ancora per entrare nella grande festa di amore eterno di Dio occorrerà essere miti, ossia capaci o almeno desiderare fortemente di respingere ogni forma e sentimento di vendetta o rancore per vivere con misericordia verso tutti ed in particolare verso coloro che ci fanno maggiormente soffrire.

Entreranno ancora alla grande festa di Dio coloro che piangono ma restano ugualmente aggrappati alla roccia della fede in Dio, all’ancora verso la quale si avvicinano tirando, spesso anche con fatica, la corda della loro vita.

Ed ancora, entrano nella festa di Dio i puri di cuore, che non trasformano il loro corpo in merce al servizio dell’egoismo e della volgarità ma lo trasformano come strumento di servizio, di dono, di esercizio dell’amore vero e pulito.

E infine entrano nella festa di Dio gli operatori di pace, coloro che seminano gesti di riconciliazione e là dove vivono continuano a creare armonia, spegnere le tensioni e le rivalità ricomponendo la pace tra le persone: pace che tanto sta a cuore a Dio!

Tutto questo ci è stato chiaramente indicato dalla Parola di Dio ascoltata e noi, in questo giorno dove commemorando i fedeli defunti pensiamo anche alla nostra morte, prepariamo il biglietto di entrata a questa festa. Madre Teresa di Calcutta diceva: “Finché hai tempo riempi la valigia della carità perché è l’unica valigia che porterai con te quando ti presenterai davanti al Signore”.

Proseguendo quanto abbiamo fatto anche ieri, solennità di Tutti i Santi, festa assai collegata a quella di oggi, chiediamo ai Santi e a tutti i nostri cari fratelli e sorelle che ci hanno preceduto nel viaggio della vita che intercedano per noi e ci ottengano luce e forza nel cammino della vita che ha necessità di eternità e di speranza, di certezza che ci attende un Amore – come diceva Benedetto XVI – che supera ogni isolamento, anche quello della morte e che dà una spiegazione all’esistere dell’uomo. “L’uomo – sono sempre parole di Papa Benedetto XVI – che è spiegabile, che trova il suo senso più profondo, solamente se c’è Dio”.

E noi rispondiamo all’intercessione che i Santi e i fratelli e sorelle defunti sicuramente ci assicurano con la nostra preghiera, affinché la Misericordia di Dio purifichi il cuore di coloro che ancora attendono di entrare nella Grande Festa del Cielo là dove Dio sarà tutto in tutti. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina