Omelia nella Santa Messa nella Solennità di Tutti i Santi

Tivoli, Cimitero cittadino, Martedì 1° novembre 2022

Come ogni anno, nel pomeriggio della Solennità di Tutti i Santi, ci rechiamo presso le tombe dei nostri cari defunti per celebrare l’Eucaristia in loro suffragio, per rendere grazie a Dio per averceli fatti conoscere, per l’amore che ci hanno dato, per pregare anche per chi non abbiamo conosciuto ma sappiamo che sono stati amati da Dio.

Anche domani la Chiesa ci invita a commemorare i nostri cari defunti ma oggi li guardiamo sotto un’altra ottica: quella della santità, ossia la Chiesa ci invita a vederli già immersi nella gloria di Dio e a pregare per loro sapendo che loro, in quel mistero che si chiama “comunione dei santi” pregano per noi.

Ed ancora a pregare – lo faremo anche domani – perché se a causa delle loro colpe alcuni non vi fossero ancora entrati, anche grazie alla nostra preghiera e alla celebrazione dell’Eucaristia in loro suffragio possano entrare nella pienezza eterna della vita.

I nostri defunti possiamo dire che sono i “santi della porta accanto” che insieme godono per sempre dell’amore di Dio, della sua beatitudine, della sua consolazione, della sua gloria, dopo aver percorso il cammino della vita – più o meno facile – e nello stesso tempo sono coloro a cui siamo chiamati a guardare perché amati da Dio, confidando in Lui anche se poveri peccatori, hanno raggiunto ciò a cui tutti siamo chiamati: la perfezione, la santità alla quale possiamo accedere soltanto per grazia, per puro dono d’amore di Dio che tutti vuole salvi, che tutti vuole con sé, che chiama tutti alla santità domandandoci certamente impegno, conversione ma anche colmando Lui le lacune e fragilità che nella nostra vita, purtroppo, non mancano mai.

Nella prima lettura, per comprendere questo, il libro dell’Apocalisse ci presenta due scene: la prima ambientata sulla terra, la seconda in cielo.

Nella prima scena la terra è minacciata da un pericolo: i venti possono abbattersi su di essa e distruggere uomini e cose. È la nostra situazione, è la situazione dell’uomo di sempre, da sempre sotto minaccia di essere distrutto da venti di guerra, di egoismo, di violenza, di odio … Ma di fronte a questa vicina devastazione, Dio ordina di porre il suo sigillo sulla fronte dei suoi servitori. Porre il sigillo nell’antichità, ma anche oggi in qualche modo, significa che ciò che è sigillato, timbrato è di proprietà di chi è detentore del sigillo. E così che Dio ordini di mettere il sigillo sulla fronte dei suoi servitori è come dire: davanti alla devastazione, davanti alla morte, venga posto il mio sigillo su coloro che sono miei, che appartengono a me, a me che sono Dio e da me sono salvati!

Anche in Egitto, se ricordate il libro dell’Esodo, le case degli Israeliti, del popolo eletto che Dio volle liberare dalla schiavitù furono preservate dalla distruzione dell’angelo della morte dal sigillo posto sulle porte …

E così, ci narra l’Apocalisse, prima che i venti si abbattano sulla terra per distruggerla, Dio pone un segno di appartenenza sulla fronte dei suoi fedeli. Il profeta Ezechiele dice che è un Tau, possiamo forse leggervi il nome di Dio, o il dono del Battesimo … Coloro che hanno questo sigillo in fronte, che appartengono a Dio comunque l’Apocalisse che è un libro biblico pieno di simboli dice che sono 144.000, un numero perfetto, che fa riferimento alle 12 tribù di Israele e ai 12 Apostoli (12x12x1000), rappresentanti del Popolo di Dio nella sua pienezza. Sono i Santi dell’Antico come del Nuovo Testamento: ossia coloro che hanno deciso di accogliere Dio e il suo amore nella loro vita in una relazione indelebile, che fa del popolo “il popolo di Dio” e di Dio “il Dio del suo popolo”.

E poi c’è un’altra scena – dicevamo – ambientata in Cielo dove Giovanni, l’autore del Libro dell’Apocalisse, vede “una moltitudine immensa che nessuno poteva contare”. È probabilmente lo stesso popolo che Giovanni vede già alla fine dei tempi, che vede come una entità infinita, amplissima, dove tutti i defunti già sono e noi saremo grazie al fatto che Dio ha dato il Suo Figlio, morto e risorto per tutti, come possibilità a tutti di essere incontrato ed amato, accolto. E anche coloro che non lo hanno potuto incontrare, conoscere o per ignoranza o per differente cultura o razza o religione, tuttavia non è stato dimenticato da Lui e dall’amore di Dio che ha posto in tutti i semi del Verbo, dei segni del suo amore affinché tutti entrino alla fine dei tempi nella gioia eterna e senza fine per la quale Dio ha creato l’uomo e lo chiama da sempre e lo chiamerà per sempre fino alla fine dei tempi.

Certamente, noi che siamo qui oggi, conosciamo il Dio di Gesù Cristo, siamo chiamati alla santità, ossia a comprendere il dono di amore della vita divina che ci è stato dato con il battesimo e gli altri sacramenti affinché corrispondiamo a questo amore e lo facciamo conoscere perché tutti corrispondano alla chiamata alla santità che è per tutti! Ma è consolante pensare che i nostri defunti, anche grazie alla preghiera nostra e della Chiesa, sono destinati a entrare nel grande popolo dei santi. Poiché i santi, come ho detto, non appartengono a una classe sociale, a una cultura, a una lingua e nemmeno abitano dentro i confini costruiti dalle mani dell’uomo: dalle nazioni, dagli enti culturali e religiosi … I santi appartengono solo al mistero di Dio che è insondabile nel suo amore e nel dare il suo amore e il suo perdono. Santi siamo chiamati ad esserlo tutti, dunque, e tutti sono resi santi dall’Unico tre volte santo: il Dio al quale apparteniamo. Santi sono dunque tutti i poveri, gli afflitti, i miti e i puri di cuore, i costruttori di pace e di giustizia di ogni dove.

Nella visione cristiana chi muore per amore entra nel grande regno del Dio santo e inaccessibile, con l’Agnello che ci ha redenti e con la moltitudine immensa che nessuno può contare. Le beatitudini che abbiamo ascoltato nel Vangelo esprimono questa speranza. Nella vita di tutti. Di qualsiasi condizione e stato di vita, soprattutto dei perdenti – e chi non è in realtà perdente davanti a Dio … ? – Dio desidera entrare e capovolgere la nostra situazione, la situazione umana così come crediamo che sia entrato anche nella situazione umana di quanti sono morti ai nostri occhi lontani da Lui per rendere tutti beneficiari della salvezza che viene dal Messia.

Tutto ciò deve darci consolazione. La festa di tutti i Santi ci assicura che nessuno sarà dimenticato da Dio e che in ogni nostra povertà Lui entrerà.

Ma nello stesso tempo non deve farci addormentare. Sbaglieremmo se pensassimo che tanto Dio salverà tutti e quindi ci penseremo alla fine della nostra vita. No, se abbiamo conosciuto e compreso che Dio ci ama non possiamo vivere nell’indifferenza, dobbiamo rispondere fin d’ora al Suo amore. Se ci ha segnati con il suo sigillo siamo già chiamati ora a vivere d’amore e a diffondere, a testimoniare il suo amore vivendo la santità quale misura alta della vita cristiana ordinaria e a farlo conoscere a tutti affinché tutti possano già su questa terra trasformarla in un giardino in attesa di entrare nel giorno senza tramonto, nella gloria eterna che per tutti Dio ha preparato e nella quale, anche grazie alla nostra preghiera, possiamo aiutare ad accedervi anche tutti coloro che in vita non hanno conosciuto l’Unico che salva. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina