Omelia nella Solennità del Corpo e del Sangue del Signore

Palestrina, Basilica Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Domenica 23 giugno 2019

Carissimi amici,

il Vangelo di questa mattina ci presenta Gesù che parla a circa cinquemila uomini. Sono folle – ed in quelle folle dobbiamo pensare presente anche ciascuno di noi ed ogni nostro fratello e sorella che, affamato di amore, di misericordia, di speranza, anche oggi desidera incontrare qualcuno che gli parli del regno di Dio e lo guarisca, si prenda cura di ogni creatura che ha bisogno –.

Aver bisogno di cure, e per cure intendo le attenzioni, le relazioni, l’affetto, l’amore e l’amicizia, la solidarietà, la speranza, le cure mediche … non è forse un bisogno primario dell’uomo?

E così l’aver bisogno di assoluto, di Dio, non è un vero bisogno dell’uomo anche quando caso mai lui non se ne rende conto o non lo vuole ammettere a se stesso ed ancor più agli altri in un mondo nel quale dire che si ha bisogno in generale, e di Dio in particolare, pare essere una debolezza anziché una virtù?

Cari amici, se ci pensiamo, tutti noi abbiamo bisogno di cure e di Dio così come ogni fratello e sorella che incontriamo – più o meno consapevole che sia –, ha bisogno di cure e di Dio. Quante sono le ferite dell’uomo di oggi, dei giovani come degli anziani, delle famiglie, e anche di noi sacerdoti e Vescovi che ogni giorno, pur avendo la gioia di celebrare e ricevere l’Eucaristia, non sempre sappiamo coniugare liturgia e vita, non sempre viviamo l’Eucaristia come incontro vivo con la misericordia di Dio! Eppure l’uomo – anche il più lontano da Dio – continua ad avere un desiderio che nessuna creatura può saziargli.

Gesù, a differenza dei suoi discepoli, non manda via chi da Lui attende cura e cibo,  non ci tratta secondo le nostre colpe. Lui, ormai, è per sempre il Dio “con” e “per” noi sul cui cuore desidera farci riposare, che si fa Lui stesso cibo per noi per nutrirci e sostenerci nel cammino della vita.

Chiede piuttosto ai suoi, così come chiede a noi che siamo qui stamane: “Date loro voi stessi da mangiare”.

Il Signore ci dice “date”! Mentre sappiamo di essere noi ad avere bisogno della sua Parola, dell’incontro con Lui e di essere curati non solo nello spirito ma anche nel corpo; mentre ci sentiamo stanchi e cercheremmo riposo, Lui manda sulla nostra strada qualcuno che ha più fame di noi, che ha bisogno come noi e forse anche più di noi di riposare sfamandosi di Colui che facendosi uomo si è messo a disposizione di tutti noi per lasciarsi mangiare, per farci trovare riposo in Lui, per sfamarci da tutte le nostre forme di fame e sete di verità, di amore, di gioia e di speranza.

Come a dirci che la fine delle nostre fami non consisterà mai nel mangiare a sazietà da soli il nostro pane ma nel condividerlo spartendo quel poco che abbiamo con chi non ha nulla. Cosa sarebbero due pesci e cinque pani? Nulla. Ma se li condividiamo diventano ricchezza per noi che abbiamo donato qualcosa di nostro – anche se poco – e per tutti grazie a quel “prendere”, “levare gli occhi al cielo”, “benedire”, “spezzare”, “dare” ai discepoli, “porgere”, “mangiare fino a essere sazi” quel “pane” che è Cristo stesso: il riposo-ristoro promesso da Dio. Ma c’è di più. Il protagonista di queste azioni: “prendere”, “levare gli occhi al cielo”, “benedire”, “spezzare”, “porgere a tutti per magiare a sazietà” non siamo noi ma è Cristo che una volta per sempre, nella notte in cui veniva tradito, ha dato se stesso nel segno del pane e del vino. Solo un verbo, di questi, è all’imperfetto, ossia ci chiede di continuare, di essere ripetuto. Ed è il verbo “dare” che sempre è continuato da Gesù fino a noi e sempre continuerà tramite i discepoli affinché nella celebrazione della Messa Gesù continui a darsi e anche tramite la nostra testimonianza di uomini e donne che hanno ricevuto il corpo e il sangue del Signore Gesù domanda di continuare a darlo, testimoniarlo, di portarlo per le strade non soltanto processionalmente come faremo tra poco ma, quali “ostensori viventi” che portano nel cuore l’amore di Cristo possiamo portarlo verso tutti affinché Lui continui, anche tramite la nostra pochezza, a darsi a tutti riempiendo il cuore di ciascuno del Suo amore, della Sua capacità di cura per l’uomo, del senso che solo Cristo sa dare alla vita!

Certamente, come dicevo, il dare da mangiare alle folle che Gesù ci chiede non si limita al pane ma ci chiede anche di impegnarci nel trasmettere e mantenere viva la fede nell’Eucaristia, ci chiede di dare la Parola di Dio ma anche e soprattutto la cura, l’ascolto, la vicinanza, l’interessamento amorevole verso tutti coloro che il Signore mette sul nostro cammino a partire dai più poveri, soli, anziani, malati … Ben consci che quando li serviamo, dando loro noi stessi e Dio, lo facciamo sapendo di appartenere a un popolo che è costituito dall’Eucaristia, di appartenere alla Chiesa che pur con vocazioni diverse ci manda tutti nel mondo per continuare quel “date voi stessi da mangiare” che in modo speciale il Signore ha detto a noi presbiteri, ma dice anche – se pur in modo diverso – a tutti i cristiani che consci dell’aver ricevuto il medesimo corpo e sangue di Gesù devono vivere e scoprire ogni giorno l’unità tra loro, rispettarsi poiché ciascuno è stato ammesso alla comunione con il corpo e sangue di Gesù.

Tra poco usciremo dalla nostra Cattedrale portando l’Eucaristia per le strade della città. Non è ostentazione, non è portare un trofeo … ma portare il segno sacramentale del Corpo di Gesù realmente presente nell’ostia consacrata, per dire innanzitutto a noi che dobbiamo portarlo a tutti con la vita e a chi ci incontrerà far sapere che siamo disposti a curarci di loro, a dare loro, con Cristo e come Cristo, noi stessi da mangiare. A dare loro amicizia, cura, accoglienza, ascolto, risposta ai bisogni concreti dell’uomo ma anche e soprattutto Dio, il Dio di Gesù Cristo che nella notte in cui veniva tradito celebrò la prima Eucaristia della storia, anticipo di quel mistero di amore e donazione che si sarebbe compiuto nei giorni successivi con la sua passione, morte e risurrezione affinché le inquietudini dei nostri cuori potessero trovare riposo e risposta per sempre in Lui.

Sì, mentre noi abbiamo bisogno di essere sfamati, Dio pone sempre sul nostro cammino chi ha più bisogno di noi e se sapremo donare Lui e un po’ di noi, noi saremo ricchi e sperimenteremo quella gioia che si prova nel dare più che nel ricevere!

Nell’Eucaristia Dio non ci manda via perché Lui che è amore vive per primo di comunione e ci viene a cercare: “beati gli invitati alla cena del Signore!” Dio ci dona tutto, ci viene incontro e ci dona se stesso: la sua Parola ma anche la sua carne e il suo sangue! Sì, il suo sangue, affinché la sua vita vivifichi tutta la nostra esistenza, perché la sua vita scorra nelle nostre vene, nel nostro cuore entri il Suo coraggio, il Suo amore, la Sua gratuità nelle relazioni.

Che tristezza sarebbero le nostre liturgie se nella loro perfezione esteriore ci facessero dimenticare l’importanza prioritaria delle relazioni, dell’amicizia e della fraternità, dell’amore che ci chiede di donare tutta la nostra vita come rendimento di grazie a Dio e ai fratelli.

Ricevendo, mangiando, continuando l’azione del “dare” di Gesù, chiediamo questa mattina che la nostra fede si appoggi non su delle idee astratte ma sulla Persona di Gesù che ha incontrato e incontra storie e vicende, sentimenti, difficoltà e gioie di ciascuno con il peso della sua croce e dandoci il suo corpo e il suo sangue ci chiede di farci attenti anche al corpo e al sangue dei fratelli donando loro la vita come ha fatto Lui che oggi celebriamo, adoriamo e portiamo in processione.

Carissimi fratelli e sorelle, nelle nostre parrocchie, nelle città, nelle famiglie, nei luoghi di studio e di lavoro che abitate, siate sempre in essi segni dell’amore e della misericordia di Dio. Siate ponti tra gli uomini le donne del nostro tempo in cerca di senso e Dio nonché con le comunità cristiane che diverranno sempre più cristiane tanto più sentiranno e avvertiranno il dolore di tanti fratelli che incontriamo e li includeranno per dare loro da mangiare. Dare loro da mangiare non solo il pane materiale ma quel pane che sazia ogni fame e ogni desiderio dell’uomo e che è il Corpo di Gesù realmente presente nell’Eucaristia.

Maria, donna eucaristica, primo tabernacolo dell’umanità che ha portato nel suo grembo il Signore Gesù e che dalla Sua presenza si è lasciata muovere verso le necessità dell’anziana cugina Elisabetta, interceda per noi che al termine di questa Messa usciremo per le strade con l’Eucaristia per dire a tutti come Gesù desidera andare incontro agli uomini e come noi, con Lui, rispondendo al comando di Gesù, desideriamo e ci impegniamo a dare ad essi da mangiare. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina