Omelia nella Solennità del Corpo E Sangue di N.S.G.C. 2024

Domenica 2 giugno 2024

Cari fratelli e sorelle,

la liturgia della Chiesa, in questa domenica – Solennità del Corpo e del Sangue del Signore, il Corpus Domini – ci invita a riflettere su ciò che di più grande il Signore ci ha lasciato nella notte in cui veniva tradito: l’Eucaristia, il sacramento del suo corpo e del suo sangue dati per noi!

L’Eucaristia che celebriamo e mangiamo insieme ogni domenica ma alla quale forse non diamo il peso e l’attenzione che merita. Per i primi cristiani, infatti, celebrare la cena del Signore era cosa seria, si trattava di accogliere la proposta di amore che Dio fa al suo popolo peccatore, accogliere il suo corpo e il suo sangue per divenire con Gesù e come Gesù corpo e sangue donati, versati per i fratelli. Per i fratelli di comunità ma anche per i fratelli e le sorelle che vivono fuori dalle nostre comunità. Che vivono fuori ma sono anche loro, come tutti, in cerca di senso da dare alla vita, che cercano chi dica loro parole di vita eterna per poter sperare in questo mondo segnato dal limite, dove si guarda spesso solo in basso, senza capacità di alzare lo sguardo e riconoscere che ci attende la vita eterna, quella vita che Gesù assicura a quanti mangeranno la sua carne e berranno del suo sangue, ossia celebreranno l’Eucaristia.

Ma torniamo a guardare all’Eucaristia e al momento della sua istituzione per assaporare con gioia, in questo giorno speciale, il grande dono che essa è per noi.

Il brano evangelico che ci è stato proposto si colloca in un contesto di tradimento. Se avessimo letto qualche versetto prima e qualche versetto dopo il brano che la liturgia odierna ci ha fatto ascoltare, avremmo letto del tradimento di Gesù da parte di Giuda e, usciti dalla cena, avremmo ascoltato del tradimento di Pietro. Tra questi episodi di tradimento che sentiamo tanto vicini alla nostra esperienza così spesso fallimentare nel rapporto con Gesù e con i fratelli; Lui, il Figlio di Dio, “nella notte in cui veniva tradito”, dona a noi, poveri peccatori, il suo corpo e il suo sangue – doni che si realizzeranno sul legno della croce –.

Davanti al nostro peccato Gesù non chiude la porta del suo cuore ma ci dona se stesso. Sa che la folla dei suoi tempi come quella di oggi ha una grande fame di Dio, ha bisogno di spiritualità e di comunione, di rapporti fraterni e amicali in un mondo dove essi paiono impediti da mille forze contrarie e avverse, forze condizionanti e che ci impediscono di guardare in avanti con speranza e di sentirci uniti nel cammino non facile della vita. Gesù sa che questa folle era ed è fragile e peccatrice ma Lui dona se stesso consapevole che solo l’amore che Dio offre all’uomo sulla croce e con la sua risurrezione potrà rispondere al suo desiderio di spiritualità, di senso, di fraternità, di vita comune, e di vita eterna che Gesù assicura a quanti mangeranno e berranno con Lui il sacramento eucaristico, pegno della vita eterna con Cristo.

Oggi non celebriamo Gesù che tramite i suoi discepoli sfama le folle moltiplicando i pani e facendoli distribuire. No, noi oggi celebriamo come, al culmine della sua vita, Gesù spezza se stesso, si dona Lui stesso ai discepoli durante la cena pasquale.

Lui conosce il nostro desiderio di vivere con speranza e per questo chiede che sia preparata la cena, la Pasqua che Lui celebrò con i suoi nella notte in cui veniva tradito, al piano superiore dove ci introduce grazie a un uomo che porta una brocca d’acqua, segno del Battesimo che ci porta a vivere proiettati verso l’eternità che raggiungeremo soltanto accogliendo il pane che è Gesù stesso che desidera venire in noi per trasformarci in Lui, per sanare le nostre fragilità con il dono del suo corpo e del suo sangue. E lì, nella sala superiore, spezza il pane fragile, spezza il suo amore facendosi piccolo per noi, abbracciando anche Lui la fragilità come l’ha abbracciata sulla croce affinché senza temerlo lo accogliamo e così accogliamo il suo amore che si frammenta, si fa fragile ma per poi sprigionare tutta la sua forza, una forza capace di riunirci tutti in unità.

Gesù dona se stesso e così ci rivela che il traguardo della vita sta nel donarsi, che la  cosa più grande è servire. Donarsi e servire anche chi ci ha tradito.

Per farci comprendere come Lui ci ami e si doni a noi non ha necessità di gesti eclatanti ma si serve di segni fragili, come fragile è il segno del pane azzimo che facilmente si spezza e si sbriciola ma proprio in questa fragilità è la sua forza.

Se il pane si spezza e sbriciola facilmente, ciò vorrà dire che tutti potranno mangiarne, che le briciole giungeranno a tutti. E l’Eucaristia è così: un pane fragile. Fragile ma che nasconde in sé la forza dell’amore che accetta di farsi piccolo per poter essere accolto e non temuto, che si spezza e si divide per nutrire e dare vita; forza dell’amore che si frammenta ma per riunire tutti noi che ne mangiamo, in unità.

Un pane fragile perché desidera essere mangiato dai più fragili.

E che dobbiamo anche noi condividere con chi è fragile perché al termine della vita saremo giudicati sull’amore.

Cari amici, quando riceviamo l’Eucaristia, Gesù sa che siamo peccatori, che siamo fragili ma non si scandalizza e non rinuncia a unire la sua vita alla nostra. Gesù sa che abbiamo bisogno di Lui per camminare in questa vita con senso, con gioia, e pieni di speranza incamminati verso l’eternità. Entra in comunione con noi affinché davanti al Suo amore che si fa pane spezzato noi aderiamo a Lui e anche noi diveniamo pane spezzato, a servizio dei più fragili, dei peccatori ed insieme sostenuti dal sacramento dell’Eucaristia e guidati da esso usciamo dall’ombra del peccato e raggiungiamo la vita. La bellezza della vita in comunione qui tra noi e la bellezza della vita in comunione tra noi e con Dio per sempre nell’eternità.

Il Vangelo di oggi si chiude con una consuetudine che anche Gesù e i suoi avevano rispettato dopo la cena pasquale che avevano condiviso: “Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi”.

Uscirono per continuare a cantare inni sacri, salmi, la cena pasquale ricordava la liberazione dall’Egitto ma prefigurava anche la meta della beatitudine che spetta a tutti coloro che fanno pasqua. Ma tuttavia la fragilità dell’uomo pervade anche quel contesto. Pietro promette fedeltà eterna a Gesù ma poi lo tradirà davanti a una servetta. Gesù chiederà ai suoi di vegliare e pregare perché sta giungendo la sua Ora ma si addormenteranno … Tuttavia Lui non cessa di amare, comprendere, perdonare.

Anche noi, la liturgia del Corpus Domini lo prevede, dopo la celebrazione dell’Eucaristia usciremo dalla chiesa.

Usciremo cantando inni, con una processione che però non vorrei che fosse intesa come una marcia trionfale al seguito di Gesù realmente presente nel sacramento del suo corpo, non vorrei che fosse intesa come una marcia che ha il desiderio sotterraneo di mostrare i nostri muscoli a chi è fragile e peccatore. No.

Piuttosto vorrei che la si vivesse come icona, immagine del nostro pellegrinaggio verso l’eternità.

In processione ci saremo noi. Noi con le nostre ricchezze e povertà, noi poveri peccatori, noi che avremo appena terminato di celebrare la Messa che ci rende comunione, comunità, che ci fa incontrare il Risorto e ci fa desiderare il Cielo ma sempre facendoci sentire anche quanto siamo poveri, distratti, affaticati, incostanti nell’essere e vivere da cristiani.

Con noi ci sarà però l’Eucaristia, il pane fragile che è Gesù, il Figlio di Dio, il Risorto che è con noi, che è la nostra speranza, la nostra forza nel cammino della vita.

Che la nostra processione non sia uno sbattere in faccia a un mondo che forse nemmeno comprende più i nostri riti e segni Colui che noi crediamo che è la nostra forza e la nostra salvezza. Ma che sia, la nostra processione, una umile testimonianza di gente che ha tradito e tradisce il Signore ma che accoglie la sua compagnia lungo il cammino della vita, che Lo ringrazia per questa presenza fedele e amorevole di chi ha dato e continuamente dà la vita per noi affinché anche noi diamo la vita per Lui e per i fratelli.

La nostra processione ci aiuti a vigilare per dire a tutti che senza di Lui, senza Gesù che si fa cibo per noi, pane per sostenerci nel cammino della vita, noi non siamo nulla ma che se lo accogliamo insieme crescerà tra noi la comunione, saremo capaci di essere in pace tra noi, di donarci a chi soffre, saremo capaci, insieme, di raggiungere la meta eterna.

Proseguiamo ora la Santa Messa. Ringraziamo Dio per il dono del sacerdozio ministeriale. Per quanti tra noi il Signore ha chiamato per assicurare la sua presenza eucaristica tra il suo popolo obbedendo ogni giorno al comando: “fate questo in memoria di me”. E preghiamolo affinché non manchino mai nella sua chiesa, nella processione dei poveri che camminano verso l’eterno, coloro che amati accettino di rispondere all’amore di Gesù seguendolo nella via del sacerdozio ministeriale impegnandosi a vivere in santità di vita  a servizio di tutto il popolo sacerdotale, il popolo di Dio, che insieme, sotto la presidenza del presbitero – una presidenza che è servizio –, celebra e vive l’Eucaristia fino al giorno in cui Lui sarà tutto in tutti. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina