Omelia nella Solennità dell’Epifania di N.S.G.C.

Tivoli, Basilica Cattedrale di San Lorenzo Martire, Lunedì 6 gennaio 2020

Carissimi fratelli e sorelle,

dopo i giorni del Natale durante i quali con i pastori ci siamo recati idealmente a Betlemme di Giudea e nel Bambino avvolto in fasce e che giace in una mangiatoia abbiamo adorato il Dio preannunciato dai profeti, il Messia che doveva venire, colui che il popolo eletto, pur non avendolo riconosciuto come tale, attendeva ed è venuto. Questa sera ci lasciamo condurre a Betlemme dai sapienti Magi venuti dall’oriente.

La tradizione dice che erano tre. Ma non si sa bene quanti fossero. Non erano nemmeno dei re ma una sorta di incrocio tra maghi, astrologhi e studiosi molto esperti in quella scienza orientale che è l’astronomia applicata alle concrete situazioni della storia per cui nel Medio Oriente, ai tempi di Gesù, si credeva che un fenomeno astronomico particolare come una cometa o una nuova stella coincidesse con un avvenimento straordinario sulla terra: ad esempio la nascita di un re.

Questi Magi, allora, si muovono non sulla parola delle sacre Scritture o della Legge di Mosè, non per fede ma solo perché spinti dal desiderio di ricerca della verità, perché mossi dall’intelligenza, dal desiderio di conoscere e per questo, seguendo la stella, giungono a Gerusalemme e passando per la reggia di Erode lì vengono a conoscenza della sapienza rivelata a Israele e dato che sono aperti sanno cogliere ogni segno che possa aiutarli nella loro ricerca, sanno accogliere ogni indizio pur di giungere a scoprire quel re annunciato dalla stella, nel castello di Erode apprendono che “Il Messia, il re dei giudei deve nascere a Betlemme” secondo quanto profetizzato da Michea. E così riprendono il loro cammino senza poi tornare da Erode. Era la passione per la ricerca che li muoveva e in tal modo giungono alla casa dove, entrati, “vedono il bambino con Maria sua madre”. Come i pastori anche loro si trovano davanti al Bambino che si manifesta riempiendoli di gioia per la scoperta di quel re piccolo, semplice, povero e che certo non si attendevano con quelle forme umili. E così loro, non appartenenti al popolo eletto, gente non di fede ma soltanto capace di usare la ragione, giungono all’incontro con un re-bambino che però riempie il loro cuore di gioia profondissima e che li porta all’adorazione, a prostrarsi davanti a Lui e ad offrirgli l’oro che si offre a un re, l’incenso che si offre alla divinità, la mirra: un balsamo profumato con cui si cospargevano i corpi dei morti per la sepoltura riconoscendo così nel Bambino di Betlemme – quasi in maniera inconsapevole – il re della storia, il Dio con noi il cui incontro con l’uomo cambia la vita, l’immortalità alla quale sarà destinato e alla quale saranno destinati tutti coloro che crederanno in Lui.

Incontrato con la ricerca e l’intelligenza ripartono per i loro paesi quasi una profezia per dirci che un giorno tutti sapranno che Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi è entrato nella storia per portare gioia e pace, salvezza, perdono dei peccati, vita eterna a tutti in quanto re, dio e uomo immortale. L’universalità della sua manifestazione, della buona notizia del Vangelo sarà così manifestata a tutti i popoli che i Magi rappresentano.

Questo Vangelo ci dice così che tutti possono incontrare Dio.

Che Lui desidera manifestarsi – Epifania vuol dire proprio manifestazione – a tutti gli uomini e le donne di ogni luogo e tempo e permette che tutti giungano a Lui.

Chi, come il popolo eletto, aiutato dalla Legge e dalle Scritture; chi, come noi, aiutato dal Vangelo, dal dono della fede. Ma può giungere a Lui anche chi non si è ancora aperto al dono della fede e non conosce le Scritture ma con quel senso del sacro, del religioso che alberga nel cuore di ogni uomo, con onestà, anche usando soltanto l’intelligenza cerca e può trovare il Dio che a tutti si vuole fare incontrare.

Quanti atei, scienziati, uomini onesti, ricercatori onesti del vero a un certo punto della loro ricerca hanno dovuto ammettere di aver trovato Dio e ammettono anche oggi l’esistenza di Dio. Di aver trovato delle vie per dimostrare che Dio non è un di più per l’uomo ma è il necessario. Che la ragione insieme alla fede sono due ali che alzano l’uomo all’incontro con la Verità.

I Magi ci dicono questo: nessuno è escluso dal cercare Dio e Dio si vuol manifestare a tutti, si vuol fare incontrare da tutti purché ciascuno sappia scoprire i semi del Verbo, i segni della Sua presenza nella storia personale e comunitaria, nella scienza, nell’arte, nella letteratura, anche nelle regole apparentemente fredde della scienza e della matematica in quanto gli uomini sanno apprendere e conoscere con la loro intelligenza Dio.

Tutto ciò ha alcune conseguenze.

Innanzitutto per noi cristiani ha come conseguenza che non dobbiamo mai dare per scontata, una volta per sempre, la scoperta di Dio e la nostra fede in Lui. Vedete, a volte noi crediamo di credere ma non crediamo. Affezionati e legati a tradizioni religiose scambiamo l’atteggiamento religioso con la fede. La fede non ci fa mai fermare nella ricerca anche con l’uso della ragione di Colui che abbiamo incontrato e ci chiede di approfondire continuamente la sua conoscenza.

La seconda conseguenza è di escludere a priori chi non crede. Attendiamo che vengano: che vengano a Messa, al catechismo, alle nostre processioni, che festeggino come noi il Natale e la Pasqua, i Santi ecc. ma non riusciamo a comprendere che oggi più di ieri la cultura nella quale viviamo non è più cristiana, è – come affermava saggiamente Papa Benedetto XVI – una cultura “neo-pagana”, e che siamo in un’epoca cambiata. Dunque dobbiamo permettere che anche per altre strade si giunga al Vangelo e noi cristiani dobbiamo stare non chiusi in attesa che i cosiddetti lontani arrivino ma dobbiamo andare loro incontro affinché scoprano che la loro ricerca di verità, la ricerca di verità, gioia, bellezza, felicità che il cuore dell’uomo porta da sempre in sé ha un nome: Gesù Cristo!

E una terza conseguenza è appunto che dobbiamo, come i Magi, incontrare il Messia, riconoscerlo come re sulla nostra vita, come Dio che ci ama e ama tutta l’umanità, che la ama patendo e risorgendo per noi e allora se è così, la gioia che l’incontro con Lui provoca non possiamo tenerla soltanto per noi. Dobbiamo andare missionari nel mondo. Missionari non tanto con le parole ma con i fatti, con concrete azioni di amore verso i cosiddetti lontani affinché la loro ricerca non si arresti o addirittura non parta – oggi infatti il mondo tende ad intorpidire le menti e a non permettere all’uomo che cammini sulle strade della ricerca del vero, del bello e del bene – ma che accompagnata dalla nostra empatia, dalla nostra proposta di fede e di speranza cristiana fatta con dolcezza e rispetto possano anche loro, con noi, giungere ad adorare quel Dio che si è fatto bambino a Betlemme per rendersi accessibile, conoscibile a tutti.

E che a noi cristiani non capiti mai di sentirci a posto. Di non volgere lo sguardo verso il Cielo per cercare sempre, invece, la stella amica che ci condurrà a Dio, che è la luce stessa di Dio per fermarci – forse nemmeno senza accorgercene – alla religione del contingente, a una fede orizzontale che non è più fede e che esclude la ragione e che così lascia l’uomo soltanto in preda di se stesso impedendo a lui di fare l’esperienza di quella profondissima gioia che fu l’esperienza dei Magi ai quali oggi diciamo grazie per averci mostrato come fede e ragione vanno insieme. Diciamo grazie mentre ci auguriamo vicendevolmente di sperimentare la loro medesima profondissima gioia. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina