Palestrina, Cattedrale di Sant’Agapito Martire, Giovedì 18 marzo 2021
Carissimi fratelli e sorelle,
un anno fa, all’inizio di questo terribile tempo di pandemia, come oggi sugli schermi televisivi delle nostre case ci venivano mostrate le immagini dei carri dell’Esercito Italiano che prelevavano le salme dei primi morti da Covid-19 dal Cimitero di Bergamo per portarle all’inceneritore. Questa Giornata, per ricordare tutte le vittime della pandemia a livello nazionale, è stata fissata ad oggi: 18 marzo 2021.
Noi dunque, da qui, così come in tutte le chiese della Diocesi di Tivoli e di Palestrina, celebriamo stasera questa Giornata per le vittime di tale pandemia globale che ancora non termina e continua a mietere vittime, a privarci delle nostre libertà di movimento, di relazione e di amicizia … e lo facciamo celebrando la Santa Messa durante la quale non vogliamo solo ricordare ma suffragare – ossia affidare alla Divina Misericordia – le anime di tutti coloro che sono morti a causa del Covid-19 in questo anno e in particolare i nostri condiocesani di Tivoli e di Palestrina.
Questa I Giornata Nazionale per le vittime della pandemia cade nell’anno che, per volontà di Papa Francesco, è dedicato a San Giuseppe e noi stasera, liturgicamente parlando, celebriamo la Santa Messa proprio dopo i Primi Vespri della Solennità di San Giuseppe, lo sposo di Maria, il padre adottivo di Gesù, il custode del Redentore. San Giuseppe: che dalla Chiesa è sempre stato invocato come protettore dei miseri e dei bisognosi, degli esuli, degli afflitti – e qui come non pensare a coloro che hanno perduto in questo anno uno dei loro cari o anche più di uno senza neppure potergli stare vicino, sapendo che stava soffrendo senza uno di noi accanto … –. E ancora San Giuseppe invocato dalla Chiesa come protettore dei poveri e dei moribondi, di quegli ultimi che sono spirati o anche in questo momento stanno soffrendo o spirando senza quella dignità che dovrebbe avere ogni persona umana, senza essere contornati dall’affetto se non da quello degli “eroi” di questo tempo terribile: i medici, gli infermieri, i tanti volontari delle nostre protezioni civili, della Croce Rossa, delle nostre Caritas, delle tante associazioni che in mille modi cercano di stare vicini a chi soffre e muore negli ospedali e ai loro cari che non possono essergli a fianco.
Tornando a San Giuseppe, che stasera celebriamo e al quale affidiamo tutte le necessità della Chiesa e del mondo intero, vorrei fermarmi con voi a riflettere su un titolo che Papa Francesco ha voluto dare a San Giuseppe nella sua recente Lettera Apostolica: Patris Corde tutta dedicata, appunto, al discendente di Davide che ha innestato Gesù in quella dinastia da cui doveva venire il Messia.
Tra gli altri titoli il Papa definisce San Giuseppe: “Padre dal coraggio creativo”.
Parla di questa sua caratteristica dopo aver evidenziato che Giuseppe aveva accolto – così come ci ha narrato il Vangelo di stasera – l’imprevisto di essere sposo di Maria rimasta incinta per opera dello Spirito Santo e di divenire il custode del suo Figlio, Gesù, sapendo accettare e andare oltre alla difficoltà.
Sì, Giuseppe ha accolto ciò che non aveva scelto. Sognava una sua famiglia, un suo figlio, una vita serena … e invece ha dovuto scegliere ciò che non aveva scelto per lui così come noi dobbiamo accettare di vivere in questo tempo difficile e incredibile. E il Papa indicandoci Giuseppe non ci dice soltanto di accettare ciò che non abbiamo scelto – come le morti dei nostri cari o le altre tante limitazioni della vita cosiddetta “normale” – ma di avere come Giuseppe, quando emergono difficoltà, un “coraggio creativo” nell’affrontarle.
Cari fratelli davanti a ciò che è capitato e che continua a terrificarci potremmo perdere la speranza e forse anche la fede. Siamo stanchi … ma è proprio in questo momento che da Giuseppe dobbiamo imparare ad aver fede, a sperare contro ogni speranza, a tirar fuori davanti alle difficoltà le nostre energie migliori. Lo abbiamo fatto nei primi giorni della pandemia. Non arrendiamoci e continuiamo a tirare fuori le risorse migliori che ciascuno di noi possiede senza forse nemmeno saperlo.
Gli inizi della storia della redenzione sono stati non semplici.
C’è una promessa sposa che rimane incinta di Colui che salverà il mondo dai peccati e dalla morte eterna. Un promesso sposo che è preso tra la Legge che gli consiglierebbe di ripudiare Maria e dal sogno che gli dice di accoglierla perché Colui che nascerà sarà il Dio che salva: Gesù. Giuseppe obbedisce, Gesù nasce, Giuseppe assiste all’adorazione dei pastori e dei magi ma poi deve fuggire in Egitto per proteggere il Figlio di Dio da Erode che lo cercava per uccidere insieme a tanti innocenti.
Noi pensiamo sempre alla fuga in Egitto con una immagine poetica: Giuseppe che tira l’asino con sopra Maria e in braccio Gesù. Eppure non deve essere stato un tempo facile quello dell’esilio in Egitto. Lì Giuseppe avrà dovuto ricominciare la sua vita da capo. Trovare un alloggio, un lavoro, continuare ad assistere Maria e il piccolo bambino Gesù.
Giuseppe – ci ricorda il Papa – in un mondo difficile, ostile al suo Gesù, tra tanta violenza, odore di morte e di povertà – come l’odore che sentiamo noi in questo tempo – è stato testimone del Vangelo. Con la sua fiducia in Dio non si è arreso al male ma ha continuato a tenere fisso lo sguardo su quel sogno, su quella visione che lo aveva costituito Padre di Gesù e senza arrendersi è stato creativo, ha saputo costruire e dare speranza, futuro affinché Dio potesse realizzare il suo piano di salvezza.
Cari fratelli e sorelle, anche la nostra vita – oggi più che mai – è in difficoltà. Ricordare i nostri morti a causa del Covid significa, se non lasciamo illuminare questo momento dalla luce della fede, ricordare i tanti sbagli umani compiuti in questo tempo, i ritardi di chi doveva fare piani di sicurezza a suo tempo, ricordare che forse abbiamo osato troppo verso la terra e verso l’uomo. Significa rimanere forse anche un po’ schifati dalla politica, dalla sanità, dai poteri economici che incuranti delle vite delle persone spesso hanno tentato di continuare a fare i loro interessi anche sfruttando questo tempo pandemico …
A volte anche le nostre comunità cristiane hanno avuto l’impressione di aver fallito nella formazione delle coscienze, nella capacità di trasmettere la fede …
Non arrendiamoci! Come Giuseppe, l’umile carpentiere di Nazaret, cerchiamo di trasformare le difficoltà, i problemi … in opportunità!
Dio non ci abbandona mai! E questo dobbiamo continuare fortemente a crederlo come Giuseppe che lo ha continuato a credere anche quando forse anche la sua speranza è stata messa in crisi dagli eventi.
Piuttosto, anche noi, come coloro che portarono il paralitico davanti a Gesù perché lo guarisse, anche noi: con la preghiera e con i fatti, con l’amore verso chi è solo, soffre, sta combattendo con il Covid-19 o altre malattie in tempo di Covid, con gli anziani, i poveri, le vedove e i vedovi che hanno perduto un loro caro, verso i genitori che hanno perduto un loro figlio, verso chi ha perduto il lavoro, si trova in povertà non prevista o in povertà resa ancora più austera in questo tempo, a chi non ha possibilità di studiare come dovrebbe essere tipico della sua età … stiamo vicino e imparando da Giuseppe continuiamo a essere creativi nell’amore. E a chi è senza speranza, cerchiamo di stare vicini e di mostrare con i fatti, le parole e anche con i silenzi amici, che c’è la salvezza! La salvezza da tante situazioni di fragilità createsi qui in terra, ma anche un’altra salvezza, quella eterna, e che ha un nome: Gesù, morto e risorto per noi!
Come a Giuseppe fu affidata la custodia di Maria e di Gesù anche a noi, a noi singolarmente e come Chiesa, Dio ci affida Gesù affinché lo accogliamo nella nostra vita e lo testimoniamo dando speranza al mondo, una speranza che si fa anche concretezza, gesti, parole e silenzi – come si è detto … –. E con Gesù ci affida Maria, colei che “avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione con il Figlio fino alla croce”.
Cari amici, come Giuseppe custodì Gesù e Maria amandoli, anche noi come Chiesa amiamo e custodiamo Gesù e sua Madre, e come Chiesa custodirli vuol dire annunciarli, testimoniarli, dare fede e speranza a questo mondo fatto di tante cose belle ma anche tante, troppe, povertà, prove e miserie dove con la preghiera e l’azione vogliamo affrontare, desideriamo “starci dentro” senza fuggire … per fare così la volontà di Dio, per comprenderla e costruire speranza.
Come Giuseppe che “fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore”, così chiediamo per sua intercessione di essere capaci di fare anche noi con una fede semplice e forte come quella dello Sposo di Maria e padre putativo di Gesù. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina