Omelia nella Solennità di San Giuseppe sposo della b.v.m.

Tivoli, Cattedrale di San Lorenzo Martire, Venerdì 19 marzo 2021

Carissimi fratelli e sorelle,

celebriamo la solennità di San Giuseppe Sposo della Vergine Maria e padre putativo di Gesù nell’anno che Papa Francesco ha voluto a lui dedicare chiedendoci, con la Lettera Apostolica Patris corde – che significa con cuore di padre –, di riscoprire la sua figura e il suo insegnamento.

Successivamente, poi, proprio in questo giorno, Papa Francesco ha deciso che si apra in tutta la Chiesa un Anno dedicato alla Famiglia – l’Anno Famiglia Amoris laetitia – un anno, cioè, che si concluderà il 26 giugno 2022 con la celebrazione a Roma del X Incontro Mondiale delle Famiglie, e nel quale con tutta la Chiesa saremo invitati a riscoprire e rilanciare, riproporre la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie, gioia che è anche giubilo della Chiesa, malgrado che i numerosi segni di crisi del matrimonio ci possano a volta indurre a pensare che non si aspiri più a vivere l’amore famigliare mentre invece – come scrive Papa Francesco in Amoris laetitia – “il desiderio di famiglia resta vivo, specie fra i giovani, e motiva la Chiesa”. Motiva la Chiesa – ed è quanto tenteremo anche noi di fare a livello diocesano in questo anno – a trovare ogni modo per portare a tutti “l’annuncio cristiano che riguarda la famiglia” e che “è davvero una buona notizia”, un vero e proprio vangelo!

Lo facciamo guardando a Giuseppe, un uomo apparentemente fuori moda perché non obbediente alle logiche mondane ma a Dio!

Nel nostro mondo, infatti, tantissime persone sono obbedienti al così fan tutti, a un pensiero globalizzato che si traduce in comportamenti collettivi spesso dipendenti da poteri forti o da abili gestori commerciali. Pensate soltanto a quanto ormai influenzi i nostri pensieri e comportamenti il mondo digitale con i suoi messaggi fuorvianti, le mode, il “così fan tutti”, alla schiavitù dell’alcool, della droga di un sesso vissuto sfrenatamente e senza regole … Tutto ciò non rende liberi ma umilia l’uomo e la donna, rovina l’amore famigliare, la capacità di ascolto reciproco, di donazione, di essere capaci di generare – ossia educare, tirar fuori il bene che c’è nel cuore dei figli … –. Mentre cerchiamo la libertà obbedendo a noi, agli stili impostici dal mondo, cadiamo così, quasi inconsapevolmente in schiavitù.

Ebbene San Giuseppe aveva compreso che se si vuole avere la vera libertà occorre obbedire soltanto a Colui che è il perfettamente libero: a Dio!

E così con un atto di obbedienza a Dio, Giuseppe entra nella storia di Gesù. L’angelo gli dice: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù” (Mt 1,20-21) e lui obbedisce prontamente.

Una obbedienza che rivivrà con coraggio creativo, senza fermarsi davanti alle difficoltà della vita, quando l’angelo gli chiederà, dopo la visita e l’adorazione dei Magi al suo figlio Gesù, di fuggire in Egitto e restare là finché non fosse stato nuovamente avvertito poiché Erode stava per cercare il bambino per ucciderlo. E Giuseppe obbedì nuovamente come obbedì nuovamente quando l’angelo gli disse di tornare dall’Egitto. E fidandosi di Dio tornò là dove Lui lo voleva insieme a Maria e al suo figlio Gesù, il figlio che Giuseppe sapeva bene essere di Dio, essere Dio venuto in mezzo agli uomini affidato con Maria alla sua custodia.

Perché faceva tutto questo San Giuseppe? Perché aveva fiducia in Dio, sapeva che Dio, anche se per sentieri misteriosi conduce la nostra vita sulla via del bene, della giustizia ed è capace di dare senso alla vita.

Nel nostro mondo Giuseppe stride. Infatti molti sono insoddisfatti, tante famiglie falliscono, molti genitori mettono al mondo i figli ma non li generano – ossia non li seguono, non li educano … – perché la sera vanno a letto senza sapere perché si sono alzati e la mattina dopo si alzano ugualmente senza sapere il perché.

Giuseppe, insieme a Maria e a Gesù – tutti con la consapevolezza di dover vivere con una missione, di dover vivere con Dio e per Dio – sono modello per tutte le nostre famiglie a rimettere Dio, il suo Amore infinito, al centro dei nostri progetti di vita.

Ciò non vuol dire clericalizzare le famiglie! Attenzione non è santa la famiglia che ha la parrocchia come casa abituale … non è sana la famiglia sempre impegnata sul lavoro, in mille attività e tra queste anche la parrocchia che assorbe ma non ha tempo per sé, per i figli, per ascoltarsi vicendevolmente, per educare … La vocazione della famiglia fatta da un uomo, una donna e aperta alla trasmissione della vita è innanzitutto quella di essere e vivere da famiglia. Mettendo al centro dell’amore, come paradigma dell’amore, come aiuto nell’amore, Dio. La sua Parola, il suo Vangelo e la capacità di mettere in pratica questa Parola anche nelle difficoltà anche quando la stessa famiglia cambia forma, i figli crescono e ciascuno segue la strada della propria libertà. Lì si vede se la famiglia ha vissuto o meno bene la propria vocazione.

Se i figli continueranno ad obbedire a Dio oppure no.

Anche i genitori passano, se si trasmette Dio, la gioia del Vangelo attraverso la gioia dell’amore famigliare – che a volte nemmeno fa riferimento esplicito a Dio e alla fede ma lo tiene costantemente sullo sfondo –. E se sanno trasmettere la capacità di obbedire a Dio, a Colui che è la libertà per eccellenza e che rende liberi, allora potranno dire di aver fatto segno, di aver preso il bersaglio!

Vivere allora l’amore famigliare come missione! Questo ci insegna Giuseppe. E vivere tale amore anche quando giunge l’ora della prova, della verifica della maturità della paternità.

Questa verifica l’abbiamo sentita narrare nel Vangelo di stasera.

Gesù giunge a compiere 12 anni. Obbedienti alla Legge del Signore, Maria e Giuseppe vanno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. E mentre stanno tornando, quasi fosse un fulmine, si abbatte improvvisa per loro la prova.

Non trovano più Gesù. Gesù che sia Giuseppe che Maria sapevano bene essere il Figlio di Dio. Gesù non era ripartito con la carovana dei pellegrini e se ne accorgono quando è sera. Immaginate l’angoscia … Tornati a Gerusalemme, sfiniti dalla ricerca, dopo tre giorni, forse ormai arresi ad affidare la causa a Dio, vanno al Tempio. E lì lo ritrovano tra persone istruite nella Sacra Scrittura e con le quali dialoga, ascolta, interroga, risponde con sapienza.

Maria, come farebbe ogni mamma, gli dice: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Tuo padre ed io angosciati ti cercavano?”.

Giuseppe non parla. Ci saremmo aspettati che il padre avesse fatto la domanda, avesse rimproverato Gesù … ma forse sentiva tutto il mistero di quel figlio e comprendeva che apparteneva ad un Altro, apparteneva a Dio e a Maria, fecondata dallo Spirito di Dio. Giuseppe aveva compreso che lui, come dovrebbe essere ogni padre, era soltanto custode di un figlio che non era suo ma di Dio. Proprio così come dovrebbe comprendere ogni sposo e sposa cristiani. Certo, a volte, mossi dalla logica dell’amore, occorre anche rimproverare. Ma davanti alle scelte dei figli, dopo avergli trasmesso Dio, dopo avergli trasmesso con la vita, con l’esempio, la gioia del Vangelo e dell’amore famigliare, occorre tacere, rispettare la libertà, aiutare a scoprire e permettere di vivere la vocazione cristiana che Dio rivolge a ciascuno.

Gesù, infatti, risponde: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io debbo occuparmi delle cose del Padre mio?”.

Lì Maria e Giuseppe si resero conto che quel figlio sarebbe stato una continua sorpresa. L’evangelista annota che “Ma essi non compresero le sue parole” come fu impossibile comprendere totalmente il piano di Dio sul loro Figlio ma anche sulla loro famiglia nonostante la fede non mancasse né in Giuseppe né tanto meno in Maria.

Tutto questo deve insegnare ai genitori che devono accompagnare i figli con amore e con capacità di stupirsi e accogliere quel progetto che c’è in loro, quella libertà che prima o poi porterà i figli anche a distaccarsi dai genitori. E i genitori dovranno accettare la libertà dei figli ed entrare in dialogo paziente – anche se non sempre facile – con questa libertà. In tal modo i genitori passeranno dall’autorità all’autorevolezza ossia progressivamente acquisteranno la stima dei figli e così potranno esercitare un influsso buono, positivo sulla formazione delle convinzioni e delle scelte dei figli stessi.

Cari amici, vorrei tanto che con le iniziative formative, di preghiera, di educazione all’amore e all’affettività, di studio dell’Enciclica Amoris laetita che faremo in questo anno e continueremo anche in seguito rilanciando e oso sperare “riformando” anche la pastorale famigliare nella nostra Diocesi di Tivoli e di Palestrina, con l’accompagnamento dei genitori che chiedono i sacramenti dell’iniziazione cristiana per i loro figli, ecc. tutte le famiglie comprendessero che essere tali è esperienza non facile ma meravigliosa e alla quale nessun genitore e nessun sacerdote, educatore, può rinunciare.

A volte, forse, come accadde a Maria e a Giuseppe, anche i genitori dovranno mettersi alla ricerca dei figli – e noi, comunità cristiana, dovremo essere accanto a loro in questa ricerca umile – ricerca dei figli che appariranno a volte lontani, sfuggenti, incomprensibili ma che, come Giuseppe e Maria non dovremo mai abbandonare, soprattutto nei momenti difficili, ma continuare a generare con l’esempio della vita.

San Giuseppe, Maria sua sposa, il loro coinvolgimento totale e nello stesso tempo discreto nella vita del Figlio sia modello per i genitori di oggi e in questo Anno che stasera apriamo, siano ispiratori di uno stile educativo di vita cristiana. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
 Vescovo di Tivoli e di Palestrina