Tivoli, Basilica Cattedrale di San Lorenzo Martire, Giovedì 10 agosto 2023
Signor Sindaco, illustri autorità, cari sacerdoti, diaconi, fratelli e sorelle nel Signore!
Rendiamo grazie a Dio questa sera per il nostro Santo Patrono: Lorenzo. Diacono e Martire.
Diacono ossia servitore, uomo totalmente a servizio di Cristo, della Chiesa, del suo Vescovo – nel suo caso Papa Sisto II che Lorenzo volle seguire fino al martirio avvenuto pochi giorni dopo quello di questo grande Vescovo di Roma – e servitore della sua gente, del santo popolo di Dio, a partire dai poveri, dagli orfani e dalle vedove proprio come dovrebbe fare anche oggi ogni diacono ma anche ogni cristiano: tutti infatti siamo chiamati a servire Dio e il suo popolo, Dio e i nostri fratelli, a qualunque razza, cultura, stato sociale essi appartengano. Tutti gli uomini e le donne che sono nel mondo sono infatti figli di Dio, appartengono a Lui, sono nostri fratelli e sorelle e noi dobbiamo servirli ed amarli.
Diacono, dunque, Lorenzo.
E poi martire. Ossia testimone.
Testimone della fede in Gesù fino a compromettersi, fino a dare la vita così come in effetti l’ha data lasciandosi bruciare dal fuoco ma perché il suo cuore bruciava di amore per Dio e per i suoi poveri: i tesori della Chiesa!
Il Vangelo che la Solennità di San Lorenzo ogni anno ci propone è quello del chicco di grano.
Parla dell’uomo. L’uomo che come un chicco di grano è piccolo e insignificante come dimensioni, debole e inerme di forza. Proprio come è l’uomo che Isaia non esita a definire “vermiciattolo di Giacobbe” (Is 41,14), granello di polvere nell’universo (Gn 3,19). Eppure ogni chicco porta in sé una energia vitale immensa. Ha la potenzialità di trasformarsi in pianta, addirittura in maestoso albero (Mt 4,32), di fiorire in colori e forme bellissime, produrre frutti buoni da mangiare (Sal 1,3).
Come il chicco anche gli uomini, pur con le loro fragilità, sono capaci di cose grandi nei più svariati campi del sapere: dalla scienza alle arti, all’amore alla generosità. Certamente gli uomini possono abbassarsi anche a compiere le azioni più bieche – anche nella nostra Tivoli accade che di tanto in tanto un uomo uccida un altro uomo, che l’uomo diffonda una cultura di morte tramite lo spaccio di stupefacenti, di alcool, che un uomo usi violenza su una donna o, ancor peggio abusi su minori, che qualcuno frodi il prossimo, induca altri alla prostituzione, sfrutti prestando denaro a usura casomai speculando sulle fragilità di chi è dipendente dal gioco d’azzardo o dall’alcool ecc. – ma non dobbiamo mai dimenticare che l’uomo è anche capace di diffondere intorno a sé luce, sa trasformare i prati in giardino, sa diffondere vita, riempire l’aria di canti e di risate, sa lavorare, produrre, darsi da fare per sé, per la propria famiglia, per il bene comune.
L’uomo è stato fatto ed è a immagine di Dio (Gn 1,27) e come Dio è Padre e Creatore, così anche l’uomo è capace di generare. Essere, per l’uno come per l’altro, è generare vita e cultura, bellezza e gioia.
La potenza generatrice insita nel seme, dunque, è ciò che rende il simbolo del seme una immagine adeguata per dire l’uomo.
Ora, però, il seme per germogliare, crescere, dare frutto, deve cadere nella terra, marcire e morire. E così è anche per l’uomo. Per generare e fiorire, deve cadere nella terra: ossia deve incarnarsi, determinarsi, legarsi a un luogo e a un tempo definiti; e deve morire: accettare di spendersi, di sprecarsi, di offrirsi e dimenticarsi.
Quanto deve imparare l’uomo di oggi dalla logica del seme! Tutti desideriamo la gioia, il benessere, la felicità ma pochi sono disposti a morire, a marcire, a spendersi, a sprecarsi … È giusto assistere chi è indigente ma è altrettanto giusto che i giovani e tutti coloro che ne hanno la possibilità siano intraprendenti, cerchino il lavoro, si buttino nel lavoro, studino e siano creativi nel mettere a frutto le loro conoscenze, i loro doni – e dopo circa 10 giorni di convivenza con i nostri giovani che si sono recati in questi giorni in pellegrinaggio a Lisbona alla Giornata Mondiale della Gioventù, lasciatemi dire che di doni ne hanno tanti, che anche oggi esiste tanta gioventù ricca di doni belli da mettere a servizio di Dio e dell’interesse comune –.
Mi fa male – permettetemi questa confidenza – quando sento imprenditori piccoli o grandi che lamentano che oggi non trovano giovani disposti a lavorare. Così come mi fa male vedere giovani che potrebbero fare bellissime scelte di vita matrimoniale o sacerdotale ma non trovano la forza di decidere di uscire dai loro nidi per morire come il seme che cade nella terra e produrre frutto.
La sapienza del seme è la stessa del Vangelo: non nel piacere e nella soddisfazione dei propri bisogni si trova vita, non nel possesso né nel dominio, bensì nell’obbedienza e nella fedeltà, nel dono e nel servizio. Perché la vita è possibile conservarla solamente amando: ci si trova avendo il proprio baricentro non in se stessi, ma negli altri; si cammina nella misura in cui si è sbilanciati in avanti, fuori di sé, “scentrati” … Noi, cari amici, vediamo tanto quanto riflettiamo la luce; respiriamo se accettiamo di espirare dopo ogni inspirazione.
Lorenzo diacono e martire ci insegna questo. Ci insegna a servire e a donarci. A spenderci per testimoniare il Vangelo con la vita, con i fatti, più che con le parole.
Una fede fatta soltanto di pratiche di pietà, tradizioni religiose pur belle, una fede che non comprometta la vita non produce frutti. Ma se i cristiani sanno amarsi tra loro, testimoniano il Vangelo difendendo i poveri, gli orfani e le vedove, come Lorenzo sono fedeli ai loro superiori e ai più poveri che sono l’immagine di coloro in cui Gesù si è voluto più spesso identificare allora sì, moriranno come il seme, ma daranno frutti duraturi.
“Il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani” diceva Tertulliano. È così. Quanti altri cristiani dal martirio di Lorenzo hanno tratto forza per donare con energia la loro vita anche mettendola a repentaglio e hanno trasmesso la fede che è giunta fino a noi.
Martiri che hanno testimoniato la fede fino al martirio cruento, ma anche tanti altri uomini e donne, celibi e nubili, sposati, vedovi e vedove, consacrati e consacrate … che hanno preso la loro vita e l’hanno donata nelle più varie situazioni fino a pagare anche conseguenze estreme e impegnative pur di seguire Cristo, imitare il dono che Lui ha fatto di sé sulla croce e amare sul suo esempio. Quanti martiri di ieri e di oggi continuano a dirci: non avere paura di osare per Cristo perché soltanto donandoti ti ritroverai, perché se vuoi vivere una fede adulta ricordati che la fede si rafforza donandola e questo dono potrà anche portarti al martirio – cruento o non cruento … non importa – ma sarà così un servizio grande, un dono grande per i tanti che oggi cercano testimoni più che maestri per giungere a credere e vivere la fede.
È quanto chiedo per me e per ciascuno di voi e per tutti i cristiani della Diocesi in questo San Lorenzo 2023: che sappiamo tutti maggiormente osare per Cristo e per il prossimo, che tutti sappiamo più morire a noi stessi per produrre frutto, gioia, vita in noi, in chi ci sta accanto, nella nostra città dove pare che chi poteva dare lavoro, gioia, aiuto a molte famiglie se ne sia andato ma dove tra noi che siamo rimasti possiamo “reinventarci” per continuare a vivere la vocazione dell’uomo che è quella di cadere sulla terra, morire a se stesso e arricchire di beni e di senso da dare alla vita e di gioia tanti altri nostri fratelli e sorelle. San Lorenzo per questo interceda per noi. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina