Omelia nella Solennità di San Lorenzo diacono e martire

Tivoli, Basilica Cattedrale di San Lorenzo Martire, Sabato 10 agosto 2024

Signor Sindaco, illustri autorità, cari sacerdoti, diaconi che oggi rinnovate i vostri impegni al servizio a Cristo e alla Chiesa, fratelli e sorelle tutti nel Signore!

Il rendimento di grazie che innalziamo stasera con Cristo, al Padre, nello Spirito, è per il dono del diacono e martire Lorenzo. Nato in Spagna intorno al 225, amico e fedele collaboratore del futuro Papa Sisto II che fu suo insegnante, si trasferì con lui a Roma dove si impegnò a sostenere le attività caritative e di evangelizzazione dell’Urbe. Quando Sisto fu eletto Papa, Lorenzo fu da lui nominato Arcidiacono della Chiesa di Roma con il compito non solo di assistere il Papa nelle celebrazioni liturgiche ma di amministrare i beni offerti alla Chiesa per sostenere gli orfani, le vedove e i bisognosi della Città.

Nel 258, durante la persecuzione della comunità cristiana indetta dall’Imperatore Valeriano, nelle Catacombe di San Callisto, Papa Sisto II fu ucciso insieme a sei dei suoi diaconi. Pochi giorni dopo, anche Lorenzo, come sappiamo, essendosi rifiutato di cedere al Prefetto di Roma i beni della Chiesa destinati ai poveri, fu martirizzato.

Rendiamo dunque grazie per il nostro Santo Patrono che fu diacono e martire, che come il chicco di grano del Vangelo, cadde a terra, morì e per questo portò frutto. Un frutto che ancora oggi noi celebriamo, di cui, in qualche modo siamo eredi.

Mi domando, però, che tipo di eredi siamo? Eredi solo per tradizione, o perché desideriamo vivere – se pur dopo 1767 anni – sulle orme di Lorenzo?

San Lorenzo, come abbiamo detto, era diacono ossia servo! A servizio innanzitutto di Cristo e per questo dei fratelli, a cominciare dai più poveri.

Proprio sul servizio vorrei riflettere con voi stasera.

Ritengo infatti che tutti, oggi più che mai, dobbiamo assumere il servizio cristiano come stile di vita.

Gli uomini di oggi, e quindi la società che da essi è composta, sono più che mai centrati – siamo, più che mai centrati – sulla pretesa di veder riconosciuti i diritti individuali. In tal modo siamo divenuti incapaci di vivere pensando al riconoscimento dei diritti della comunità. Tutti presi dall’affermazione del nostro “io” non sappiamo più pensare al “noi” e così siamo ancora immersi in una cultura dove al servizio si antepone fortemente l’egoismo – personale o di grandi potenze o di gruppi di potere od economici – per cui è in grave pericolo il preziosissimo dono della pace, l’unità della famiglia – prima cellula della società e della Chiesa –, la salvaguardia del creato e soprattutto della vita dell’uomo: dono da promuovere, difendere e sostenere dal momento del concepimento alla sua morte naturale, la ricerca del bene comune. Così come è in pericolo la differenza e la complementarietà di genere tra uomo e donna: anche tale pericolo frutto dell’esasperazione dei diritti individuali che stravolgono pure l’uomo e la donna così come sono stati voluti fin dalla loro origine.

Certamente servizio significa anche inclusione ma per il cristiano il servizio ha due dimensioni complementari: il servizio all’uomo e il servizio alla Verità. Una Verità che non è nostra ma viene da Dio, dal Vangelo e dal Magistero della Chiesa.

Innanzitutto occorre comprendere cosa significhi servizio. Quel servizio che ha vissuto in maniera perfetta Gesù che, pur essendo di natura divina, non disdegnò di assumere la nostra umanità fino alla morte e alla morte di croce (Cfr Fil 2). Quel servizio che Gesù ha esercitato durante l’Ultima Cena, mentre sapeva che stava per essere tradito dai suoi e ai quali, però, ha lavato i piedi compiendo il gesto tipico del servo, dello schiavo di casa quale profezia del dono di amore per noi della sua vita sulla croce. Gesto al quale ha aggiunto la spiegazione che accolse Lorenzo e pure noi, stasera, desideriamo accogliere: “Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio perché come ho fatto io facciate anche voi” (Cfr Gv 13).

Entrare dunque nella logica del servizio: questo ci indica la vita e la morte del diacono Lorenzo.

Innanzitutto il servizio al prossimo.

Ciò vorrà dire per noi, a partire da chi ha maggiori responsabilità nella Chiesa e nella società, aver cura dell’uomo e della casa comune che egli abita.

Aver cura dell’uomo in ogni fase della sua vita, assicurandogli il diritto all’educazione scolastica, il diritto ad avere un lavoro, una casa, a poter costituire una famiglia, a poter avere dei figli. Assicurandogli il diritto alla salute e a vivere una vecchiaia serena ed una morte dignitosa. Assicurandogli di vivere in una comunità dove tutti si pongano a servizio del prossimo, anche di chi viene da lontano, anche di chi non pensa come noi, anche di chi compie scelte per noi sbagliate e più che punizioni merita, proprio per la sua dignità umana, per il valore che ha ogni uomo e ogni donna: rispetto, accompagnamento, in alcuni casi – come per chi commette delitti o merita pene – rieducazione per un reinserimento nella comunità degli uomini.

Insieme al servizio al prossimo occorre metterci tutti a servizio del Creato.

Creato che ci è stato dato e che dobbiamo mantenere casa abitabile per quanti verranno dopo di noi.

Servire il Creato vuol dire essere consapevoli che “La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia” – come scrive Papa Francesco in Laudato Si’ al n.21 – e alla radice di queste dinamiche troviamo la cosiddetta “cultura dello scarto” che dovremmo contrastare, se desideriamo servire il Creato, adottando modelli di produzione basati sul riutilizzo e sul riciclo, limitando l’uso di risorse non rinnovabili. Invece – come scrive sempre il Papa – “la mancanza di reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile” (LS 25). E, purtroppo, “i progressi in questa direzione sono ancora molto scarsi” (LS 22).

Servire il Creato significa inoltre non mascherare o nascondere i sintomi che stanno alla base dei cambiamenti climatici – così come fanno molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico –. Cambiamenti che “sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità” (LS 25). Se “il clima è un bene comune, di tutti e per tutti” (LS 23), l’impatto più pesante della sua alterazione ricade sui più poveri.

Ed ancora servire il Creato è rispettare il bene grande dell’acqua. Il Papa sottolinea molto come intere popolazioni, e specialmente i bambini, si ammalano e muoiono per il consumo di acqua non potabile, mentre continua l’inquinamento delle falde acquifere a causa degli scarichi di fabbriche e città. Avere accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani (LS 30). Privare i poveri dell’accesso all’acqua significa – scrive sempre il Papa – negare “il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità” (LS 30).

E infine: servire il Creato significa riconoscere “che tutte le creature sono connesse tra loro, di ognuna dev’essere riconosciuto il valore con affetto e ammirazione, e che tutti noi, esseri creati, abbiamo bisogno gli uni degli altri” – scrive ancora il Papa in Laudato Si’ al n.42 – mostrando una immagine del cosmo dove tutte le creature, dove tutto il creato è interconnesso e dove le diverse specie non sono solo eventuali “risorse” sfruttabili ma tutte hanno valore in se stesse e non in funzione dell’essere umano mentre ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che saranno perse per sempre ostacolando la tutela dell’armonia cosmica.

Parlando di servizio non possiamo poi non pensare al servizio alla grande causa della pace che chiede a tutti, a tutti i livelli, di abbandonare ciò che divide e cercare sempre più ciò che ci unisce. Lo chiede a livello delle relazioni interfamigliari, a livello di relazioni tra persone all’interno dei nostri condomini, nei paesi, nelle città, tra le nazioni e anche tra le religioni.

Ma insieme a questo triplice servizio alla cura dell’uomo, del creato e della pace sempre più minacciata, il diacono Lorenzo invita tutti noi ad un altro e fondamentale servizio:

quello alla Verità.

La Verità che, unica, rende liberi e salva, la Verità che è Dio.

Se non siamo capaci di servirci gli uni gli altri, se non siamo capaci di servire il Creato e l’umanità, se non siamo uomini e donne di pace spesso è perché in nome di una falsa tolleranza, anche noi cristiani preferiamo tacere, non schierarci e non difendere la Verità di Dio che ha creato il mondo e l’uomo.

In nome della necessità di aprirci a tutti, di dialogare con tutti, anche noi cristiani siamo diventati acritici per cui tutto è buono, tutto va bene, il mondo ormai è così e siamo vecchi, come di “altri tempi” … se non ci adeguiamo a una cultura che invade il nostro modo di pensare, i media che ci influenzano, i nostri modi di vivere ed agire.

Cari amici, mettiamoci a servizio della Verità che ci è rivelata da Dio e come Lorenzo poniamoci al suo servizio annunciandola con i fatti, l’esempio, la concretezza dei piccoli gesti quotidiani, delle nostre scelte – piccole o grandi che siano a seconda delle responsabilità che ricopriamo nell’intreccio dei rapporti comunitari –.

Per servire la Verità occorre sicuramente conoscerla. Una conoscenza fatta di ascolto della Parola di Dio, di preghiera, di silenzio, di spiritualità. Fatta di conoscenza degli elementi fondamentali della nostra fede così come possiamo trovarli nel Catechismo della Chiesa Cattolica e nella Dottrina sociale della Chiesa.

Ma poi occorre aderire ad essa sapendo che la Verità ci rende liberi, veri, che seguire la Verità rivelata da Gesù nel Vangelo ci rende capaci di un servizio all’uomo e al mondo a 360 gradi, un servizio che salva e predispone ad accogliere una salvezza più grande, la salvezza eterna alla quale ogni uomo – consapevolmente o meno – aspira.

Con questi impegni di servizio che potrebbero condurre nel nostro contesto culturale anche al martirio o quanto meno, se non al martirio cruento, a quello dell’irrilevanza o dell’essere posti in minoranza caso mai ridicolizzata come spesso avviene verso i segni della fede anche in contesti internazionali e sui media, continuiamo ad amare e servire come ha fatto Lorenzo, ad amare in particolare chi è povero di mezzi o povero perché, non attento ed aperto al prossimo, alla costruzione del bene comune e alla realizzazione della pace, sicuri che con la nostra perseveranza salveremo le nostre anime e conseguiremo anche noi la santità, misura alta della vita cristiana ordinaria. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina