Omelia nella Solennità di Santa Chiara

Palestrina, Monastero Santa Maria degli Angeli, Martedì 11 agosto 2020

Signor Sindaco, carissime Sorelle Clarisse, sacerdoti, fratelli e sorelle nel Signore!

Presso questo luogo dove vivono le nostre Clarisse, celebriamo stasera la Santa Messa nella Solennità di Chiara d’Assisi, questa giovane che mossa dall’ideale di Francesco lasciò tutto per dedicarsi alla preghiera e vivendo nella povertà, castità e obbedienza quel carisma francescano al femminile che diede inizio a quella numerosa schiera di suore – giunte fino a noi – che chiamiamo Monache Clarisse.

Nelle letture ci è stato esposto ciò che è alla base e ciò che deve rimanere essenziale per loro e tramite loro, tramite la loro testimonianza, deve divenire sempre più importante anche per noi. Soprattutto per noi oggi, sballottati da venti culturali che ci inducono a vivere come se Dio non esistesse, che ci contagiano di un grande virus, ben più pericoloso del Coronavirus e che è l’indifferenza verso Dio e quindi anche verso l’uomo e un conseguente indebolimento della fede e conseguentemente dei modi di vivere la fede.

Ciò che è alla base della vita claustrale, che deve rimanere alla base di tutti noi è il “Rimanere in Dio!”.

Attirati da Lui, amati fedelmente da Lui, dobbiamo “rimanere in Lui”. Pena del non rimanere in Lui è altrimenti la perdita di senso anche di noi stessi e della nostra vita che è bella e gioiosa soltanto quando dando viviamo in Dio e per Dio e così dandogli gloria con tutto noi stessi lo testimoniamo al mondo anche vivendo nella clausura.

Ma andiamo per gradi.

Chi è, innanzitutto, Colui nel quale dobbiamo rimanere?

È il Dio vero, ossia è il Dio fedele che pur davanti alle nostre molteplici infedeltà e peccati è rimasto, rimane e rimarrà sempre fedele all’uomo. Fedele a quell’umanità che in Cristo ha sposato per sempre.

L’uomo – lo sappiamo – è caratterizzato dalla instabilità, è come l’erba del campo che è verde al mattino e alla sera è già secca. E così tutti noi siamo oggi più che mai incapaci di fedeltà, di perseveranza. Ci diciamo cristiani – almeno quanti ancora ci diciamo così – ma viviamo come se Dio non esistesse. Ci vincoliamo nel matrimonio ma basta nulla per cambiare strada senza pensare che abbiamo dato una parola e che Dio – il sempre ed eternamente fedele – ha detto una parola per sempre su di noi, una parola indelebile! E così si dica anche per i sacerdoti, i religiosi e le religiose.

Dunque occorre convertirci e porre le fondamenta della nostra stabilità non negli uomini che cambiano pensiero ogni giorno, non nella politica, non nelle nostre amicizie e alleanze ma in Colui che è stabile per sempre: Dio e il suo amore che è “da sempre” e “per sempre”.

Dobbiamo dunque convertirci e come Chiara essere capaci di abbandonare ogni certezza umana per affidarci unicamente a Dio, al perfettamente fedele e – come ci ha detto il Vangelo – essere capaci di “rimanere in Lui”. Rimanere in Lui che non vuol dire continuare a fare ciò che si è sempre fatto. Ma anche saper accogliere l’invito che Lui ci fa a percorrere strade nuove – le sue e non le nostre, le sue dettate dall’amore fedele per noi e per la sua Chiesa e non le nostre dettate spesso dal nostro egoismo, dalla nostra paura di cambiare, dalla nostra paura di non ricoprire più i posti che un tempo occupavamo … o abbiamo occupato fino ad ora o ai quali ambivamo … – per confidare soltanto in Chi ci ama con fedeltà e con la creatività che è frutto dell’amore.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato è stato scritto dall’evangelista Giovanni probabilmente ad una comunità che dopo i primi fervori si era stancata di seguire Gesù. Forse non sapeva bene nemmeno lei il perché ma si sentiva scoraggiata, stanca … Giovanni riporta a quella comunità le parole che Gesù aveva già detto ai suoi: “Forse volete andarvene anche voi?”.

La comunità con l’andar del tempo era divenuta infedele come possiamo diventare anche noi quando la consuetudine ci corrompe e ci fa dimenticare che siamo una vigna amata da Dio, curata, coltivata con passione da Dio. Non so se ricordate la vigna di cui parlava il Profeta Ezechiele: bella, robusta, rigogliosa e piena di fronde per l’abbondanza delle acque che la attraversavano che però a un certo punto fu sradicata con furore e gettata a terra, il vento d’oriente seccò i suoi frutti e li fece cadere; il suo ramo robusto inaridì e il fuoco lo divorò e fu trapiantata in una terra secca e riarsa, nel deserto?

Ebbene è questo il nostro rischio. È quello che può capitare a tutti, anche alle nostre Sorelle Claustrali, ossia che ogni grande amore se perde la sorgente vitale si affloscia, si inaridisce, muore …

A tutti allora oggi Gesù rinnova l’invito. Un invito che accogliamo guardando ancora una volta alla freschezza e alla radicalità del sì di Santa Chiara: “Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vita, così neanche voi se non rimanete in me”.

Non dimentichiamolo mai! La fede, anche la più operosa, se ci stacchiamo dall’amore di Dio, l’amore che ci precede e accompagna e al quale le nostre sorelle Clarisse hanno dato il tutto della loro vita, può morire. Senza lasciarci continuamente irrigare dalle sorgenti che è la salvezza operata e portata a noi da Cristo noi rischiamo di divenire insignificanti, di credere di vivere la vita cristiana ma in realtà di non portare alcun frutto.

Questa solennità ci aiuti a tornare a Dio: “Io sono la vera vite e il Padre mio è l’agricoltore (…) chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca”.

Chiediamo di rimanere in questo amore.

Amore, accennavo prima, che è creativo. Ma non per le nostre strategie ma perché se permettiamo che la gloria di Dio, la sua presenza, stia con noi allora noi stessi renderemo visibile la presenza di Dio al mondo.

Vedete, spesso mi viene da pensare che non sono gli atei la causa della esclusione di Dio dall’orizzonte del modo di pensare e agire del mondo ma forse siamo proprio noi credenti. A noi, alle nostre mani, è affidata la gloria di Dio ma non sempre la lasciamo risplendere né nei nostri luoghi di culto né nel mondo perché pensando con la nostra mentalità umana, fidandoci sempre meno di Dio, ci siamo affidati a noi e così abbiamo perso quella felicità che spesso ci fanno vedere quante vivono in clausura ma hanno trovato il Tutto della vita, ci ha mostrato Chiara, Francesco d’Assisi e tutti coloro che rimanendo in Dio come i tralci nella vite hanno portato e continuano a portare frutto nel mondo.

Che il Signore aiuti tutti noi a rimanere in Lui! Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina