Cattedrale di Palestrina, 18 agosto 2023
Signor Commissario Prefettizio, illustri autorità, reverendi Canonici del Capitolo Cattedrale, sacerdoti, diaconi, consacrate, fratelli e sorelle tutti nel Signore!
Con la celebrazione di ieri sera presieduta dal Cardinale Matteo Zuppi siamo entrati nel 1750° anniversario del martirio del nostro Patrono: il giovane Sant’Agapito!
Conosciamo la sua vita: figlio di una famiglia di alto rango della nostra Preneste come tanti giovani nobili dell’epoca fu inviato a Roma per gli studi di diritto romano. Là grazie al suo precettore, Porfirio, conobbe Cristo e la nuova religione cristiana alla quale aderì con convinzione. Iniziarono così per lui, insieme ai suoi fratelli di fede, le prime persecuzioni. Portato davanti all’Imperatore Aureliano fu invitato a rinnegare il Dio di Gesù Cristo offrendo un sacrificio agli dei. Ma egli ricordandosi dell’esempio di Gesù e delle sue parole accettò di essere odiato a causa del nome di Gesù ma sopportò la persecuzione e non cedette a rinnegare il suo Signore.
Aureliano aveva dato vita al culto degli dei del Pantheon romano e aveva reso religione di Stato tale culto e quello al Dio Sole Invitto in particolare perché procurava per le casse dello Stato un indotto economico notevole vedendo conseguentemente, con preoccupazione, l’affermarsi di altre religioni e altri culti come quello a cui aderiva Agapito insieme a tanti altri giovani cristiani.
Tentò allora di farlo desistere con forme persecutorie sempre più crudeli, lo fece venire nella sua Palestrina per ammirare il Tempio della Dea Fortuna primigenia sperando che il lusso di quel Tempio lo convincesse. Ma Agapito guardandosi dagli uomini accettò di essere odiato a causa del nome di Gesù ma non rinnegò il Signore. E fu così che fu sottoposto al martirio per decapitazione il 18 agosto 274.
Rendiamo grazie, dunque, stamane per l’esempio che ci ha dato Agapito, un esempio di fede che donandosi con Cristo al Padre nello Spirito è giunta fino a noi perché anche noi, nel nostro mondo, immersi nella nostra cultura che sente come scomodo il Vangelo e tutto ciò che ne deriva cercando di emarginarlo, farlo tacere, edulcorarlo… non ci adeguiamo, e senza curarci del pensiero del mondo, accettiamo la persecuzione più o meno velata, accettiamo il martirio cruento o incruento che sia sicuri nella parola di Gesù: “Chi persevererà fino alla fine sarà salvato!”.
Stamane vorrei fermarmi su tre aspetti che la Festa del nostro Patrono ci suggerisce.
Vorrei rispondere a tre domande:
- Perché Agapito è stato così forte nel professare la fede in Cristo?
- Agapito era un giovane: i nostri giovani sono come Lui?
- Come Chiesa diocesana quale è il martirio che ci costa di più e che dobbiamo sostenere?
1. Il nome Agapito deriva da agape ossia l’amore puro, bello, perfetto. E chi può dare all’uomo questo amore che dona senza pretendere, che è oblazione totale, che è amore che non cessa nemmeno davanti alle fragilità dell’uomo, ai suoi peccati – poiché anche i martiri sono uomini, fragili, peccatori… – se non Dio solo?
Ebbene Agapito sapeva di essere amato da Dio. Aveva scoperto l’amore che Dio solo sa dare. Si era sentito amato e chiamato per nome da un Dio che lo aveva amato così tanto da dare il suo Figlio per lui sulla croce, da mandare lo Spirito Santo come suo Paraclito, ossia avvocato difensore nel testimoniare la sua fede e così a questo amore avvertito ha risposto perseverando nel professare e vivere la fede senza lasciarsi spaventare dagli uomini che lo avrebbero voluto con loro contro – o quanto meno indifferente – verso il Dio di Gesù Cristo.
Cari fratelli e sorelle, la fede nasce dal percepire di essere amati da Dio. Nasce dal rapporto intimo con un Dio che ci conosce, ci ama e ci chiama. Nasce dal rapporto con un Dio che si rivela nella sua Parola, che si comunica a ciascuno di noi nei sacramenti e che porta il nostro “io” ad aprirsi al “noi” della Chiesa dove insieme celebriamo e festeggiamo l’amore di Dio che ci ha creati e che, dopo il peccato di Adamo di cui tutti sentiamo le conseguenze, ha donato se stesso per ciascuno di noi e tutti noi insieme, sulla croce del Figlio, affinchè per sempre peccato e morte non siano realtà definitive per noi.
E vengo così alla seconda domanda:
2. Agapito era un giovane: i nostri giovani sono come Lui?
E’ difficile dare una risposta univoca. Certamente ce ne sono alcuni che si sono lasciati intimorire dagli uomini che in maniera più o meno velata tendono a sottrarli anche oggi dal professare la fede in Dio. Certamente chi vuole spacciare ai giovani false felicità, li vuole attrarre al culto della dea Fortuna ossia alle logiche del mercato che sui giovani guadagna attraverso la moda, la proposta di relazioni virtuali che li isolano per immettere nelle loro teste i messaggi di qualcuno che vuole sfruttarli e non certo amarli, esiste anche oggi e anche oggi è interessato a togliere Dio dalla prospettiva della loro vita e delle loro scelte. E forse, apparentemente, potremmo dire che i nostri giovani non sono come Agapito. Ma farei attenzione: partecipando alla Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona con molti di loro ho notato che se si sentono amati, ascoltati, se sentono che Dio e la Chiesa danno loro fiducia, sanno abbandonare presto le false felicità per vivere la gioia dell’incontro con Dio e tra loro.
Sì i giovani sono buoni, sono ancora in cerca del bello, del vero, del giusto. Che ha un nome: Gesù Cristo! Hanno soltanto bisogno di chi glielo faccia scoprire con la vita, con la testimonianza, con la cura, con l’ascolto empatico, con la trasmissione della propria fede (come sono importanti in questo senso i nonni e le narrazioni…).
Sapendo questo diventiamo tutti un po’ di più come il precettore di Agapito, Porfirio. Ossia non esitiamo a trasmettere la fede. Chiedo a voi adulti di non avere paura di proporre Cristo con l’esempio della vita ai nostri giovani. Non tanto a proporre una fede fatta di tradizioni ma soprattutto una fede che sappia narrare come avete sperimentato l’amore di Dio nella vostra storia e come tale amore possano sperimentarlo – se lo desiderano – anche loro.
E infine vengo all’ultima domanda che non è però distaccata dalle altre due:
3. Come Chiesa diocesana quale è il martirio che ci costa di più e che dobbiamo sostenere?
Credo che sia quello che nella Lettera che ho indirizzato a voi in occasione di questo anno centenario ho definito “martirio sinodale” ossia il martirio del “camminare insieme”. Camminare insieme dietro l’unico Maestro e Signore Gesù Cristo senza cedere alle divisioni che scandalizzano, ossia sono di inciampo per i piccoli, per i giovani, per quanti vogliono seguire il Risorto. Certamente costa camminare insieme, vivere nella comunione… perché chiede a tutti di aprirci all’amore di Dio che ci spinge dall’”io” al “noi”.
Se cammineremo in comunione, che significa stimare le cose e le iniziative dell’altro come se fossero le mie, se cammineremo volendoci bene a vicenda perché sappiamo che Dio ci ama tutti al di là di ciò che siamo, se avremo la pazienza del costruire la comunione in un mondo che tende a globalizzarci lasciandoci profondamente soli dietro i nostri social ma non a creare comunità vera tra noi, allora come Agapito saremo testimoni del Risorto senza temere nulla ma sorreggendoci con forza nel cammino di vita cristiana.
Che il Signore, dunque, ci faccia crescere tutti nella consapevolezza di essere amati, che ci aiuti a rimanere giovani e ad aiutare i giovani perché non cedano davanti alle lusinghe degli uomini, e a vivere nella comunione che dà la forza nell’affrontare anche il martirio quotidiano e ha una energia eccezionale per far comprendere a tutti che la Chiesa è viva e anche oggi, come ai tempi di Agapito, sa rinunciare alle false fortune per fare la scelta della perla preziosa, del tesoro nascosto nel campo: Cristo unico salvatore del mondo e della storia. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina