Tivoli, Cattedrale di San Lorenzo Martire, Domenica 10 settembre 2023
Cari fratelli e sorelle,
in questa celebrazione eucaristica il seminarista Paolo Cola, della Parrocchia di San Gregorio Magno in San Gregorio da Sassola, dopo alcuni anni di preparazione e studio presso il Seminario Regionale di Anagni, davanti al Vescovo e alla comunità ecclesiale esprime il suo desiderio di avviarsi decisamente verso il sacerdozio ministeriale che, a suo tempo, dopo un ulteriore discernimento della Chiesa, a Dio piacendo gli verrà donato non per se stesso ma per porsi con la sua umanità, le sue fragilità e anche le sue potenzialità e doni, fecondati dalla grazia sacramentale, a servizio di Dio e dei fratelli.
La Parola di Dio di stasera mi permette di sottolineare alcune caratteristiche che il presbitero deve far sempre più proprie e che, chiedo a te, caro Paolo, di far tue fin da ora mentre ti avvii verso il diaconato e il presbiterato.
San Paolo nella seconda lettura chiede a tutti i cristiani – ma stasera questa Parola deve risuonare in maniera particolare nel tuo cuore – di non essere debitore di nulla a nessuno se non dell’amore vicendevole.
Nella prima lettura e nel Vangelo è chiesto di essere capaci di correggere i fratelli che sbagliano contro di noi o contro Dio stesso.
E ancora, il Vangelo, ci indica come deve essere la preghiera del cristiano e quindi, ancor di più, di chi si sta avviando agli ordini sacri e un domani sarà presbitero.
Sono tre consegne che mi sento di fare a te stasera.
Non essere debitore di nulla a nessuno se non dell’amore vicendevole.
Debitore dell’amore!
I debiti è bene che nessuno li abbia, soprattutto il prete.
Ma un debito, sì. È un debito che non si estingue perché ciò che si deve dare è senza misura, ha la misura dell’amore di Dio che è infinito, che va oltre ogni limite. Che ha le caratteristiche che ci descrive sempre l’Apostolo Paolo nella Prima lettera ai Corinzi parlando di una parente stretta dell’amore che è la carità la quale: è paziente, è benigna, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
Un prete deve avere un debito di amore sempre e verso tutti che assume come modello l’amore di Cristo alla cui vita egli si deve progressivamente conformare fino a divenire ogni giorno di più, con Lui, offerta al Padre nello Spirito per la salvezza dei fratelli.
L’amore di cui devi e dovrai sempre sentirti debitore verso tutti è quello di chi non cerca il proprio interesse ma quello altrui, di chi come Cristo sa essere misericordioso, ossia sa porre il proprio cuore accanto alla miseria degli uomini e sa provare compassione – cioè “patisce con” – per loro, anche per chi umanamente non meriterebbe nulla. L’amore di cui devi e dovrai sempre sentirti debitore è quello di chi si configura a Cristo che ha lavato i piedi di quanti lo avrebbero di lì a poco tradito, di Cristo che ha dato la sua vita sulla croce perdonando i suoi uccisori.
Ogni cristiano, tutti i ministri di Dio, tu in particolare, dobbiamo, devi essere debitore di questo amore! Amore che costa, amore che tante volte copre, che va oltre …
Ma – e vengo qui alla seconda consegna della Parola di stasera – amore anche che, proprio perché tale, corregge. Invita a desistere dalla propria malvagità il malvagio.
E questa è una forma di amore che costa perché chiede compromissione. Costa innanzitutto perché siamo chiamati a correggere pur essendo deboli, fragili, peccatori anche noi. Sempre a rischio di sentirci dire: ma cosa vuoi? Inizia da te a cambiare e poi vieni da me …
Correggere l’altro è facile – da una parte – perché è molto più facile vedere la pagliuzza nell’occhio dell’altro fratello che la trave che è nel nostro occhio … Ma è difficile perché ci chiede di esporci, di rischiare per l’altro, rischiare anche di perderlo …
Quante volte preferiamo fingere di non vedere piuttosto che intervenire.
È, direi, uno dei mali del secolo. È un male che colpisce molti genitori e anche molti ministri di Dio che nell’esercitare la paternità, per paura di perdere i figli, non propongono mete alte ma abbassano la meta e la rendono così accessibile a chi hanno davanti tanto che l’errore non è più chiamato errore, e tanti pensano addirittura che poiché tutti si comportano in un certo modo e più nessuno richiama, allora vada bene così …
Si chiama, questo errore, crisi educativa. Quando non si propongono più le regole per una vita buona e si pensa di educare facendoci complici, amiconi, di quanti ci sono affidati noi non li aiutiamo ma li lasciamo correre verso la perdizione.
No, il prete è colui che è chiamato – nonostante lui – a correggere per salvare, per riportare l’uomo sulla strada giusta, quella della sequela di Cristo, quella dell’osservanza dei comandamenti.
Intendiamoci. In questo tipo di esercizio di amore dobbiamo sempre ricordare chi siamo e chi è l’uomo. Anche noi siamo peccatori e imperfetti e l’uomo è una creatura fragile, in continuo esercizio per raggiungere quel “siate perfetti come il Padre” che Gesù ci ha proposto come programma di vita. E quindi, nel correggere, dobbiamo usare tanta carità, tanta pazienza, tanta capacità di accompagnamento. Non dobbiamo e non ci è lecito correggere a pietrate ma con tatto, gentilezza, discrezione, pazienza …
Soprattutto nella cultura attuale dobbiamo progressivamente avvicinarci a chi erra, ascoltandolo, entrando in un rapporto empatico con lui, e poi come ha fatto Gesù con i due di Emmaus, o Filippo con l’eunuco che leggeva le Scritture senza comprenderle, salire sul suo carro, fargli ardere il cuore, permettendogli l’incontro con il Risorto e aiutarlo ad aprirsi alla Verità che salva!
E ancora, adottare il metodo della correzione fraterna che il Vangelo oggi ci insegna. Poiché il fratello, ogni uomo e donna che vivono in questo mondo, sono figli di Dio come noi e noi dobbiamo correggerci a vicenda con discrezione, attenzione e delicatezza ma altrettanta fermezza nei principi affinché tutti ci poniamo alla sequela del Signore e giungiamo a vivere nella gioia piena.
Certo, correggere l’altro – lo abbiamo detto – costa.
Quante volte sentiamo nel cuore che sarebbe più comodo fingere di non vedere, non intervenire … Ma non possiamo. Chi è chiamato a seguire il Signore non può fingere di non vedere. Né, dall’altra parte, può ergersi su un piedistallo clericale per richiamare l’altro quando lui per primo non è esemplare nel seguire Cristo. Ma il servizio è da compiere! Compierlo con umiltà, con le regole della correzione fraterna, con coraggio opposto all’ignavia e disposti anche noi ad essere corretti, ad accogliere l’amore di chi volendoci bene veramente si compromette, rischia anche lui pur di aiutarci a camminare sulle vie di Dio.
Ecco l’importanza di non pensare di diventare preti da soli ma sempre appartenendo a una comunità, dentro a una comunità. Non una comunità di collusi, di gente che si dice d’accordo nell’accettare di vivere il compromesso impedendo all’altro di prendere il volo alla sequela del Signore. Il prete “solo” è a rischio! Come è a rischio il prete in un presbiterio o in una comunità che gioca al ribasso. Ma se il prete è in una comunità che punta in alto allora uno aiuterà l’altro, insieme sperimenteranno la presenza del Signore che è assicurata dove due o più sono uniti nel Suo nome, percepirà il Suo amore, sarà stimolato a correggersi se sbaglia e a camminare per le vie che conducono alla gioia e alla vita.
Ed infine la preghiera.
In questa comunità alla quale anche il prete appartiene e tu, caro Paolo ti prepari a questo tipo di appartenenza, si prega! Affinché chi sbaglia sia corretto e trovi la via giusta, si prega. Si vive da fratelli nella sicurezza che dove due di noi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre gliela concederà. Nella sicurezza dataci da Gesù che “dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”.
Caro Paolo, preparandoti ormai decisamente a ricevere gli ordini sacri del diaconato e del presbiterato non tralasciare mai la vicinanza con il tuo e nostro Maestro e Signore che ci assicura di essere presente nella comunità riunita nel Suo nome e che concede ciò che comunitariamente o anche singolarmente – purché sia la preghiera della Chiesa –, chiediamo a Lui!
In questi anni di preparazione e poi, a Dio piacendo, un domandi sacerdote, sii uomo di preghiera. Preghiera personale e comunitaria!
Anche la preghiera è un grande atto di amore quando mettiamo anche chi ha commesso colpe, errori contro di noi e contro la Chiesa, contro il Vangelo, gli altri, il mondo … nel nostro rapporto con Dio.
La preghiera può cambiare le situazioni più tragiche.
E tu sarai chiamato a pregare non solo per te ma anche per quelle situazioni di errore e di non amore che incontrerai.
Certo è che deve essere una preghiera – quella comunitaria soprattutto – vera!
Durante ogni Messa noi eleviamo a Dio la preghiera dei fedeli ma spesso non si realizza nulla o ben poco di quanto chiediamo. Come mai? Forse perché – penso io – non siamo uniti nel domandare, è una preghiera formale e non di una intera comunità che con fede domanda al Padre ciò che Lui, se è secondo la Sua volontà, concede.
Caro Paolo, distribuisci dunque amore, l’amore che hai ricevuto e anche oggi ricevi dal Signore che chiamandoti alla sua sequela ti dà tanta fiducia.
Per amore non aver paura di correggere con umiltà i tuoi fratelli e sorelle per salvarli. Un genitore che corregge il figlio compie un atto di amore e così anche un cristiano, un prete che corregge un fratello senza presunzione compie un atto di amore.
E sii uomo di preghiera. Personale e comunitaria. Uomo che dopo aver amato, dopo aver ricordato che occorre camminare alla sequela del Signore, affida a Lui che tutto può ogni situazione, anche le più difficili, sicuro che ogni cosa chiesta da due o tre riuniti nel Suo nome, Lui la concederà.
Ora, per tutto questo, noi riuniti insieme, preghiamo e chiediamo a Dio che ti faccia essere uomo che ama, che richiama ma nella carità, che prega per sé, per chi sbaglia e per il popolo di Dio al quale appartiene e al quale mai deve dimenticare di appartenere. Amen.
+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina