Papa Pio VII e la Cattedrale tiburtina

Dati storici, curiosità e riflessioni. In ricordo di Barnaba Gregorio Chiaramonti, Vescovo di Tivoli che diventò pontefice nel 1800, nel bicentenario della morte e in comunione di preghiera con il Vescovo Mauro a Cesena per le celebrazioni

Esercitò il ministero petrino negli anni dell’ascesa e della caduta di Napoleone, vivendoli da oppositore e da “martire” della follia imperialista. La vicenda di Pio VII torna quest’anno in primo piano grazie al duecentesimo anniversario della morte, avvenuta il 20 agosto 1823, e che prevede iniziative nei luoghi della memoria come Cesena, città natale, Imola, altra sede episcopale successiva a quella tiburtina, e Savona, dove visse per quattro anni in stato di prigionia su ordine di Napoleone. Il Papa che dovette fronteggiare uno dei momenti più gravi e concitati della storia della Chiesa (fu eletto addirittura a Venezia e non a Roma a causa dell’instabilità politica negli Stati pontifici) ebbe con Tivoli un rapporto diretto, essendone divenuto Vescovo dal 1782 al 1785, e continuando in seguito alla sua elezione a pontefice a dimostrare affetto e munificenza nei riguardi del Duomo di San Lorenzo, nel quale aveva vissuto momenti brevi ma intensi di guida spirituale.

Barnaba Chiaramonti, questo il suo nome al secolo, mutato poi in Gregorio una volta entrato nell’ordine benedettino e con il quale firmava i suoi atti episcopali, indirizzò al clero e al popolo della diocesi tiburtina una lettera pastorale per l’inizio del suo ministero (10 gennaio 1783). Nel documento parlò di “tempi pericolosi” caratterizzati dall’insano orgoglio degli uomini e da sistemi di pensiero perversi, per i quali faceva valere l’ammonimento dell’Apostolo Paolo nella prima Lettera a Timoteo (vale a dire che essi stessi non comprendono ciò che affermano, in quanto non si rendono conto che la loro superbia intellettuale può portare a gravi conseguenze nell’ordine sociale e morale).

Le parole concise ma efficaci del suo latino dimostrano grande attenzione per il contesto storico e filosofico dell’epoca. Al tempo stesso, la sua figura ci giunge a distanza di due secoli anche umanamente calda, vicina al popolo e devota, un misto di fermezza dottrinale, umiltà e pace interiore derivanti dalla sua formazione benedettina.

A Tivoli egli diede inizio alla visita pastorale della Diocesi, dimostrando di avere in grande considerazione la cura delle anime. Inoltre all’inizio del 1783, quando due pellegrini austriaci giunsero in città alla ricerca di un luogo in cui vivere come eremiti, affidò loro la cura della chiesa di Quintiliolo, dove uno dei due, Giovanni Maria Hofbauer, maturò profondamente la propria fede (nel 1909 sarebbe stato canonizzato da Pio X).

Una questione aperta rimane l’influenza che mons. Chiaramonti ebbe per la diffusione, nella Cattedrale di San Lorenzo e a Tivoli, del culto all’Addolorata, che egli coltivava privatamente anche prima della sua ordinazione episcopale. La devozione per l’immagine seicentesca custodita nel tesoro del Duomo (e oggetto di viva venerazione nel corso del XIX secolo anche a motivo di un prodigioso movimento degli occhi segnalato in un’iscrizione all’interno della cappella del Crocifisso) fa pensare che sia stato proprio il giovane Vescovo di Tivoli a farne dono alla Basilica.

Altra ipotesi è che invece egli abbia trovato già un culto antico a Tivoli (del quale però mancano attestazioni precedenti) e che da quell’esperienza sia maturata la sua decisione, una volta eletto pontefice, di estenderlo in maniera ufficiale a tutta la Chiesa cattolica. Il legame con Tivoli è testimoniato anche dalle donazioni di cui, una volta eletto pontefice nel 1800, onorò il nostro Duomo. All’inizio della sua elezione fece realizzare la pala d’altare attualmente esposta che raffigura il diacono San Lorenzo condannato dall’imperatore Valeriano al supplizio della graticola per essersi opposto alla consegna dei beni ecclesiastici.

Nell’opera del romano Pietro Labruzzi si scorge quasi in controluce la stessa vicenda della Chiesa e del papato attaccati dalla furia napoleonica e costretti a subire una nuova persecuzione, cui la figura mite e celestiale di San Lorenzo oppone una fermezza esemplare, la stessa che Pio VII dimostrerà negli anni della sua deportazione a Savona e Fontainebleau. Da ricordare è anche il nuovo apparato pittorico della Cattedrale, realizzato negli anni 1815-16, con l’interessamento e il contributo economico di Papa Chiaramonti a ridosso della sconfitta di Napoleone. Lo stemma papale dipinto sul soffitto è accompagnato dall’iscrizione latina che recita: “La beneficenza di Pio VII Pontefice Massimo, già vescovo Tiburtino, con l’ausilio della Città e la munificenza e la pietà dei Canonici. Anno del Signore 1816”.

Sappiamo da documenti dell’Archivio capitolare gentilmente messi a disposizione dal dott. Alain Vidal, che al Papa fu presentato il progetto del nuovo impianto figurativo nel momento in cui egli si trovava al palazzo di Montecavallo, ovvero il Quirinale, allora sede ordinaria dei pontefici a Roma. L’ammontare della donazione per la realizzazione dell’opera fu di 371 scudi su una spesa complessiva di circa 2.200 scudi, coperti in buona parte dal Capitolo della Cattedrale. Ulteriore segno di vicinanza alla sua ex sede episcopale è la donazione di due preziosi calici, di cui uno regalatogli secondo la tradizione da Napoleone Bonaparte, soprannominato dai canonici “il calice delle lacrime” in quanto risalente al periodo della deportazione. Da parte sua, il Capitolo della Cattedrale tiburtina fece eseguire da Pietro Labruzzi un grande ritratto di Pio VII. L’opera, un olio su tela, è presente ancora oggi nella Sagrestia monumentale.

Da segnalare che è in corso la causa di canonizzazione presso la diocesi di Savona. «Intendiamo esprimere – afferma don Fabrizio Fantini, parroco della Cattedrale di San Lorenzo – la nostra comunione di preghiera con la Chiesa di Cesena accompagnando spiritualmente il nostro Vescovo Mauro, giunto nella città natale di Pio VII per partecipare alle celebrazioni del bicentenario della morte. Per questa occasione vorrei ricordare due aspetti. Il primo è la grande fede di Pio VII, il suo affidarsi a Dio la cui luce ha rischiarato anche i momenti più bui. La seconda è la profonda devozione alla Madonna. Sull’esempio di Maria, Pio VII ha imparato che i dolori e le sofferenze umane ai piedi della croce diventano veicolo di una più profonda intimità con il Signore e abbandono alla sua fedeltà».

Antonio Marguccio