Per apprendere l’arte dell’ascolto con il consultorio «Familiaris Consortio»

Martedì 24 gennaio, a Villa Adriana, presso la parrocchia di San Silvestro Papa si è tenuto il secondo appuntamento del percorso “L’arte dell’ascolto”. Fiorenzo Orati, a nome del Consultorio diocesano Familiaris Consortio, ha aperto l’incontro riferendosi a Gesù maestro dell’ascolto e agli Atti degli Apostoli, tracciando il parallelo con “fatica”, “sofferenza” e “autonomia”, tre punti/valori introdotti dalla dott.ssa Bianca Crocamo nell’incontro dello scorso 17 gennaio.

La professoressa ha ripreso il percorso partendo dalle “emozioni”. Esse evolvono rapidamente, a differenza dei sentimenti che hanno un tempo di vita stabile, vedi la “soddisfazione”: che consegue una fatica (non sforzo) a cui dovrebbero essere educati i bambini. La fatica è un antidoto a tanti vizi come l’invidia: se racconto a qualcuno l’elenco dei miei traguardi senza motivo, soltanto per riempire la mia autostima, attivo nell’altro l’invidia, in quanto proietto solo l’immagine di me che voglio mostrare; se invece comunico la fatica fatta per raggiungerli, l’invidia non si attiva. Essa segnala una mancanza che l’altro sta vivendo. Se utilizzata come input positivo, in un ascolto attivo, ci pone in relazione con l’altro.

Infatti l’emo-zione (muovere all’azione) non è nè buona nè cattiva, dipende se utilizzata con finalità costruttive o distruttive. La dottoressa ribadisce come i nostri ragazzi non sanno stare al mondo, anche perché non sono educati alla fatica, come strumento di vita. Oggi in famiglia non hanno nemmeno molte possibilità di vedere la fatica dei genitori, così spesso fuori casa. Idem per le competenze esistenziali di base che quindi non apprendono. Anche i presenti hanno riscontrato una certa difficoltà nella ricerca di una definizione positiva e funzionale della fatica. Scegliendo poi «la fatica è normale». Secondo la Crocamo, ciò deriva dal preconcetto culturale che la parola “fatica” ci insinua, motivo per cui educhiamo a non faticare come a “non soffrire”. Ma come accettare la sofferenza? Bisogna “darle un nome” abitarla senza conflitto, riconoscendola semplicemente come una realtà attuale, senza rassegnazione; avviando così un processo di sana elaborazione, che la rende risorsa di vita. Se ciò non avviene, il nostro cuore non sarà mai in pace ed entrerà in un circolo vizioso di rimuginazione.

Équipe UCD