San Giuseppe: un aiuto per educare oggi

Si avvicina il 19 marzo, data in cui la Chiesa celebra la solennità di san Giuseppe, sposo di Maria. La recente lettera Apostolica di papa Francesco Patris Corde (PC), e l’indizione dell’anno giubilare dedicato al padre putativo di Gesù, sono un’occasione per vivere questo giorno in maniera ancora più intensa, e ci invitano a riflettere su quanto questa eminente figura possa dire oggi a noi, nel contesto sociale in cui viviamo, con la crisi pandemica ancora in atto. Un gran pedagogista come Giuseppe Bertagna ha ricordato che le emergenze sanitaria ed economica a motivo della pandemia «sono paradossalmente meno gravi di quella pedagogica». Proprio queste parole sembrano trovare eco nelle parole del papa, «Nella società del nostro tempo, spesso i figli sembrano essere orfani di padre», la crisi dell’educazione appare dunque essere fortemente correlata alla crisi della figura paterna. A tal proposito Franco Nembrini, autore del libro Di padre in figlio. Conversazioni sul rischio di educare, afferma: «Il problema del padre è grave oggi perché dopo duecento anni che del padre e della paternità e di ogni possibile autorità si parla male, in nome di una malintesa libertà di cui i figli dovrebbero godere, il risultato è che la figura del padre è debolissima. La nostra è una civiltà senza padri. Senza padri e dove le madri, in assenza dei padri, rischiano di diventare ossessive nel loro ruolo protettivo: un disastro sia da una parte che dall’altra! In questo senso recuperare la figura del padre è il grande compito dell’educazione perché è quella figura di padre che in qualche modo corregge e valorizza, anche di più, il ruolo della madre che altrimenti diventerebbe eccessivo». Se crolla la figura paterna necessariamente crolla l’educazione. Se la madre, infatti, rappresenta l’accoglienza, il padre è la figura che fa da recinto ai figli, li protegge, li custodisce, ma anche pone un limite alle pretese smisurate del loro io infantile, attraverso le regole. Afferma lo psicanalista Massimo Recalcati: «Oggi il bimbo detta legge in famiglia. È diventato un dio da osannare, i genitori gli danno tutto ciò che vuole. Perché porre limiti al godimento istantaneo? Siamo in una società dove la rinuncia è priva di senso, dove dire “no” sembra un delitto». È proprio il padre che adempie questo compito, anche mostrando, attraverso il valore del lavoro e del sacrificio, la bellezza del dono gratuito di sé. Questo ha fatto san Giuseppe. tanto che proprio nell’inno Santa e dolce dimora, preghiamo dicendo: «Giuseppe addestra all’umile arte del falegname il figlio dell’Altissimo». Giuseppe è padre perché ha introdotto il Figlio di Dio nella realtà, lo ha educato, anche attraverso il lavoro e, parafrasando il celebre discorso tenuto da san Paolo VI a Nazareth, Gesù ha potuto conoscere la legge severa certo, ma redentrice della fatica umana. Far crescere i giovani, cercando di tenerli al riparo da ogni difficoltà, rischia di far crescere persone fragili e poco generose, come ha notato già Benedetto XVI nel 2008, che aggiungeva come la capacità di amare corrisponde infatti alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme. Ma ancora, in PC, si rileva come una nota caratteristica della paternità di san Giuseppe sia stata quella di essere un padre nell’ombra, prendendosi responsabilmente cura di Gesù, senza fare da padrone sulla sua vita: «Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso». E proprio questa caratteristica risponde a quella che, ancora Recalcati, definisce una delle nuove malattie dei genitori di oggi, cioè l’ossessione per la riuscita e per la prestazione dei figli. Per questo nota il papa che «il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto…La paternità che rinuncia alla tentazione di vivere la vita dei figli spalanca sempre spazi all’inedito. Un padre consapevole di completare la propria azione educativa e di vivere pienamente la paternità solo quando si è reso “inutile”, quando vede che il figlio diventa autonomo e cammina da solo sui sentieri della vita, quando si pone nella situazione di Giuseppe, il quale ha sempre saputo che quel Bambino non era suo, ma era stato semplicemente affidato alle sue cure».

Daniele Masciadri