Santa Anatolia a Gerano

Anatolia è una martire e vergine romana, il cui culto si propaga rapidamente ed è fiorente nella Chiesa dei primi secoli. Scoperta cristiana nel richiedere i corpi dei suoi tutori Calogero e Partemio, viene martirizzata sotto Decio nel 250 d.C. a Tora (Borgorose) e già Vittricio, vescovo francese, la menziona, nel 396, come santa taumaturgica, nel suo De laude sanctorum, e nel IV secolo un monaco ne redige la passio (vedi Acta Sanctorum, Maii IV). Si salva dal tentativo di essere morsa da un velenoso serpente, scelto dall’esperto marso di nome Audace, esecutore della prima sentenza; non solo la santa passò in preghiera tutta la notte, ma all’apertura della stanza in cui era stata rinchiusa da Audace, il serpente si avventò contro il marso, prontamente salvato da Anatolia.

Audace si convertì a Cristo e, ancora prima di Anatolia, ricevette il martirio. Porta il nome di Callista (la più bella) in riferimento al papa regnante e di Anatolia (l’orientale), perché nasce a Roma intorno al 230 dal console Mauro Fulvio Emiliano, mentre questi era in missione in quella regione. Nella colonia-vico Trellano (Gerano), il papa Gregorio Magno suo discendente, nel riordino del fondo della Massa Giovenzana, in parte anche della famiglia degli Anici, erige una chiesa in suo onore verso la seconda metà del VI secolo (RS.17), tre secoli prima che divampino le lotte tra la diocesi di Tivoli e i Monasteri Sublacensi per il possesso della “pingue” Massa (X-XII sec.). Nel 1566 il canonico camerario di Tivoli, Ottavio Croce, ristruttura la chiesa e la orna di due affreschi (miracoli della santa) e due statue di Audace ed Anatolia, con rispettivi altari, in stucco policromo romano; tra le spese della festa, i canonici tiburtini officianti al santuario, annotano il compenso per l’orchestra e i cantori. Nella definitiva transazione per la giurisdizione spirituale sui paesi dell’Abbazia del 1638, tra il cardinale Giulio Roma e i cardinali Barberini Francesco e Antonio, Commendatari in Subiaco, la chiesa ed il suo beneficio vengono ceduti come ultimo appannaggio del vescovo tiburtino, retto dai canonici di San Lorenzo in Tivoli, nelle mani dei canonici Sublacensi (1639). L’edificio sacro sorge all’interno di una curtis domnica (azienda agricola) di proprietà del Patrimonio di San Pietro, poggia le fondamenta su due tombe monumentali romane del II sec. ed è ubicata sulla diramazione dell’antica via romana Praeneste-Carseoli, quasi segnaletica di riferimento verso Tora (Borgorose) luogo del martirio della santa. Quando nel 932, le reliquie del suo corpo vengono rinvenute e traslate dall’Abate Leone III a Santa Scolastica (altare del SS.mo Sacramento), il corteo svolta nella Valle del Giovenzano per fare sosta all’antico santuario geranese dedicato alla santa, dove secondo la cronaca avvengono strepitosi miracoli. Sarà poi l’Abate Giovanni V (sec.XI) che, trasferendo il teschio e le ceneri al Sacro Speco, ne propagherà il culto e la devozione, anche tra i monaci, inserendo il nome tra i santi invocati nel Confiteor , nelle litanie e negli affreschi. Prima d’allora i libri liturgici in uso tra i monaci ne ignorano il nome. Con l’annessione dell’Abbazia Territoriale di Subiaco alla Diocesi di Tivoli (2002), santa Anatolia torna ad essere venerata nel calendario liturgico tiburtino.

I nomadi che si danno raduno nella sua festa e fiera, il 9 e 10 luglio di ogni anno, ricevendo anche dei sacramenti e delle grazie, rimandano ai tempi del mercato romano e medievale che lo Statuto del Torquemada (1436) regola, permettendo loro, come agli ebrei, più giorni di permanenza e tolleranza nel territorio. Gerano fino all’annessione dallo Stato pontificio all’Italia (1871) si è onorata della sua effige nel gonfalone comunale, quale patrona e prima catechista dei coloni della Massa Giovenzana, essendo transitata sulla sua proprietà geranese, sia nell’esilio verso Tora, che nel passaggio delle sue sacre reliquie.

Giovanni Censi
parroco di Santa Maria Assunta, Gerano